domenica 15 marzo 2015

Russia: i nemici del Cremlino, siamo tutti indignati



La storia della Russia e dell’Unione Sovietica è costellata da una lunga serie di omicidi di stampo politico. Senza risalire allo zar Nicola II, Trotzki e Rasputin, vediamo quelli del periodo seguente al crollo dell’Urss. Non in tutti i casi si può parlare di omicidio, talvolta si tratta di «strani suicidi» che però lasciano molti dubbi che lasciano indignati.

Impegnata sul fronte dei diritti umani e ritenuta scomoda per le sue inchieste sulla Cecenia, il 7 ottobre 2006 Anna Politkovskaia, davanti all’ascensore del suo palazzo, fu tempestata da colpi di pistola e uccisa. La tesi dell'accusa è che sia stata uccisa da un sicario, ma le circostanze dell'omicidio non sono state chiarite dalla polizia faziosamente politica. E’ il più emblematico omicidio politico nell’era post-sovietica. La giornalista della Novaya Gazeta si era occupata dalla guerra in Cecenia e in particolare delle torture commesse dalle milizie filorusse di Akhmad e Ramsan Kadyrov. Le sue inchieste riguardavano anche i crimini commessi dai soldati russi e la conduzione della guerra diretta da Vladimir Putin, conduzione che aveva apertamente criticato. Tra le sue inchieste anche i «misteri» della strage del teatro Dubrovka a Mosca (2002) e del massacro dei bambini della scuola di Beslan (2004).

Alexander Litvinenko, l’ex agente del Kgb venne avvelenato con un tè «corretto» al polonio (una potente sostanza radioattiva) in un hotel di Londra nel 2006. Neanche in un sofisticato libro di spy story l’autore avrebbe potuto immaginare un omicidio simile. Un ex agente del Kgb (ora i servizi russi si chiamano Fsb) fatto fuori con una dose di pochi grammi (forse meno) di polonio-210 aggiunti il 1° novembre 2006 a un tè in un hotel superlusso del centro di Londra mentre stava incontrando due ex agenti del Kgb. Il polonio è una sostanza fortemente radioattiva (e quindi estremamente pericolosa da maneggiare) che non si compra certo in drogheria. Litvinenko, che morì dopo atroci sofferenze il 23 novembre, aveva dovuto fuggire da Mosca dopo aver accusato Putin di essere il mandante del tentativo di assassinare l’oligarca Boris Berezovsky. Accusò inoltre i servizi segreti di aver organizzato nel 1999 una serie di attentati a Mosca in modo da addossare la colpa ai ceceni e creare un motivo per la seconda guerra in Cecenia la cui conduzione spalancò a Putin la strada per il Cremlino e la sparatoria al Parlamento dell’Armenia nel 1999 per sabotare la pace nel conflitto per il Nagorno Karabakh, sparatoria in cui morirono il premier Sargsyan e altri sette deputati. Prima di morire Litvinenko accusò Putin di essere il mandante dell’omicidio di Anna Politkovskaja.

Boris Abramovic Berezovsky , l’oligarca russo venne trovato morto dopo essersi impiccato nel bagno della sua casa ad Ascot, in Inghilterra, il 23 marzo 2013. Sfuggito a diversi attentati in Russia, Berezovsky venne accusato per reati economici e presunte cospirazioni. La famiglia del miliardario non hanno mai creduto al risultato dell’indagine ufficiale inglese: per loro è stato assassinato o indotto al suicidio.

Divenuto deputato e vice consigliere per la sicurezza nazionale (nella cui veste fu protagonista di negoziati con i ribelli islamici in Cecenia), fu indicato anche tra i grandi sponsor della transizione fra Eltsin e l’ex capo dei servizi segreti Vladimir Putin nel 2000, salvo poi entrare quasi subito in conflitto con il nuovo presidente. Trasformatosi in oppositore del Cremlino si auto esiliò a Londra da dove cominciò a finanziare l’opposizione. I famigliari del miliardario non hanno mai creduto al risultato dell’indagine ufficiale inglese: per loro è stato assassinato o indotto al suicidio.  Berezovsky emerse come uno dei primi oligarchi del neocapitalismo post-sovietico fin dall’inizio degli anni Novanta, dopo una controversa e rapida ascesa economica. Entrato in politica, fu tra i protagonisti della rielezione di Boris Eltsin alla presidenza nel 1996 e divenne uno degli uomini più potenti del Cremlino.

Natalia Estemirova, giornalista cecena e attivista dei diritti umani, venne rapita il 15 luglio 2009 a Grozny, capitale della Cecenia. Il suo corpo fu ritrovato il giorno dopo nella vicina Repubblica dell’Inguscezia. Attivista pluripremiata per la sua attività in difesa dei diritti umani nel Caucaso e in Russia. Scriveva reportage per Novaya Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja.

Ilyas Shurpayev, giornalista della tv di stato russa, noto per i suoi reportage sul Caucaso settentrionale che aveva coperto molti conflitti in diverse regioni dell’ex Unione sovietica, come Cecenia, Abkhazia e Ossezia del Sud. E poi Anastasia Baburova. Lei e il suo avvocato Stanislav Markelov freddati da un sicario. Il legale, noto per il suo attivismo a favore dei diritti umani, difendeva una ragazza cecena violentata e uccisa da un colonnello russo, mentre la Baburova collaborava con la “Novaja Gazeta”. In Russia da quando è in vigore il regime di Putin, per la morte dei giornalisti, nessun assassinio è stato condannato. In particolare era stato il difensore della famiglia di Elza Kungaeva, giovane cecena rapita e uccisa dal colonnello russo Yuri Budanov. Anastasia Baburova, 25 anni, era una giornalista di Novaya Gazeta accorsa per aiutare Markelov dopo che era stato colpito dai killer in una strada di Mosca, ma fu uccisa a sua volta

Olga Kotovskaya, la giornalista dell’emittente Kaskad «cadde» dal quattordicesimo piano il 16 novembre 2009. Per le autorità russe fu un suicidio. Kaskad è un’emittente di Kaliningrad, l’enclave russa dell’ex Prussia orientale tedesca incuneata tra Polonia e Lituania. Secondo i famigliari della giornalista non c’era alcun motivo per il quale Olga Kotovskaya si potesse trovare nell’edificio dal quale si lanciò da una finestra. Sei giorni prima il tribunale aveva emesso una sentenza in cui si affermava che i documenti con i quali nel 2004 venne estromessa dalla tv che lei stessa aveva fondato erano illegali: il passaggio di proprietà era stato contraffatto. L’ex vicegovernatore di Kaliningrad, Vladimir Pigorov, era coinvolto nell’affare. A tutti parve strano che la donna, madre di due figli, dopo la vittoria nella battaglia legale potesse aver deciso di togliersi la vita.

Boris Nemtsov, leader dell'opposizione russa a Vladimir Putin ed ex vicepremier liberale all'epoca della presidenza Ieltsin, è stato ucciso poco prima di mezzanotte (ora italiana) in un agguato mentre passeggiava nel centro di Mosca. L'uomo politico di 55 anni, scrive l'agenzia Tass, è stato centrato da quattro colpi d'arma da fuoco. E secondo il sito filo-Cremlino LifeNew, quando è stato freddato si trovava in compagnia di una modella ucraina di 23 anni. La ragazza, Anna Duritskaia, sarebbe stata sentita dagli investigatori come testimone del delitto. La portavoce del ministero dell'Interno, Ielena Alekseieva, ha confermato che l'oppositore stava passeggiando con una giovane ucraina lungo il ponte Bolshoi Moskvoretski. Nemtsov si avvicina alla politica negli anni della Perestroika. Nel 1991 finisce sotto l'ala protettiva di Yeltsin. Nel 1997 è vicepremier. Poi la crisi politica, figlia di quella economica. Si rilancia nel 1998, con la coalizione di forze democratiche e liberali. Con l'avvento di Putin si colloca fermamente all'opposizione

Nemtsov era stato un figlio "ribelle" della nomenklatura russa del Soviet dei deputati del popolo, ma la commissione elettorale locale glielo impedisce. Nel 1989 ci riprova. Il suo programma prevede una serie di riforme, radicali per l’epoca, con idee a sostegno di una democrazia multipartitica e dell’impresa privata. Non viene eletto, ma si ripresenta nel 1990 alle elezioni del Soviet supremo della Repubblica russa e questa volta ha la meglio sugli altri candidati, sfidando il listone comunista. In Parlamento si unisce alla Coalizione riformista ieltsiniana. Entra a far parte del comitato legislativo, che si occupa delle riforme agricole e della liberalizzazione del commercio estero.

In quel periodo, finisce sotto l'ala protettiva di Yetsin, che lo considera quasi come un figlio politico. Nell'agosto 1991, durante il tentato colpo di Stato dei "nostalgici", Nemtsov sta al fianco di Yeltsin nella resistenza. Poco dopo viene "ricompensato" con la nomina a rappresentante plenipotenziario del presidente della Federazione Russa nella regione di Nizhni Novgorod. In seguito diventa governatore e viene rieletto nel 1995. Il suo incarico è contrassegnato da un programma di riforme liberali che producono crescita economica e gli valgono le lodi persino di Margaret Thatcher.

Nel marzo 1997 Nemtsov viene nominato primo vicepremier della Russia e gli viene affidato il compito di riformare il settore energetico. In questo periodo conta su un discreto appoggio popolare e sembra essere un potenziale candidato presidente per il 2000. Ma la sua carriera politica subisce un brusco stop nell’agosto 1998, a causa della gravissima crisi economica che investe la Russia e travolge il rublo. Nell’agosto 1999 tenta a rilanciarsi fra i cofondatori dell’Unione delle forze di destra, una coalizione di forze democratico-liberali che riceve quasi 6 milioni di voti, pari all’8,6%, alle elezioni parlamentari del dicembre dello stesso anno. Ma è un successo effimero. Inizia la stagione dell’opposizione a Putin, inflessibile su tutti i dossier più importanti: dalla questione cecena al recente conflitto in Ucraina. Fino alla morte violenta, a poche decine di metri dal Cremlino.

Siamo tutti indignati, anche se consapevoli della giustizia sovietica, per il processo e per la morte che resta senza colpevoli. Il motto del feroce Stalin è tornato in auge e forse mai sopito: la morte risolve tutti i problemi: i niente uomini, niente problemi.

L’assassinio di Anna Politkovskaja e dei nemici di Putin lascia un tragico silenzio in Russia e un vuoto incolmabile nel mondo dell’informazione, privata di una luce che splendeva su un angolo d’Europa buio e dimenticato.




Nessun commento:

Posta un commento