sabato 28 settembre 2013
Relazioni USA Iran dal 1979 che erano inesistenti
Evento storico la telefonata tra i presidenti Barack Obama e Hassan Rohani . I presidenti si sono parlati al telefono. Una comunicazione diretta tra un presidente americano e uno iraniano non c'era dalla Rivoluzione islamica del 1979 con l’instaurazione del regime khomeini. Un contatto per arrivare a una soluzione diplomatica sul programma nucleare dell'Iran. "Risolvere e superare le differenze è possibile -ha detto Obama e i team sono già al lavoro". Obama ha chiesto all'Iran "azioni significative che potrebbero portare ad un alleggerimento delle sanzioni". I due leader hanno concordato incontri a breve tra i ministri degli Esteri ed auspicato di risolvere il nodo relativo ai progetti nucleari.
È stato Barack Obama a chiamare: in un messaggio su Twitter il presidente iraniano ha detto di aver espresso al capo della Casa Bianca la sua gratitudine per «l'ospitalità e per la telefonata». Ma l'idea della telefonata sarebbe stata in effetti suggerita dagli iraniani. E secondo fonti vicine al presidente iraniano la chiamata sarebbe giunta del «tutto inattesa». Obama, nel corso della conversazione, si è scusato con Rohani «per il terribile traffico di New York» sulla strada per l'aeroporto. «Have a Nice Day» («Le auguro buona giornata»). «Thank you. Khodahfez». Questo, nel tweet attribuito al presidente iraniano, il saluto tra i due capi di Stato al termine della storica telefonata. «Khodahfez» è un comune messaggio di commiato in farsi, letteralmente «Dio sia il tuo custode». Si è trattato del primo colloquio diretto tra i leader dei due Paesi dal 1979, quando Jimmy Carter telefonò all'allora scià di Persia - storico alleato degli Stati Uniti nella regione - poco prima che la furia popolare lo costringesse a fuggire dal Paese.
«Quella con il presidente iraniano Hasan Rohani è stata la prima comunicazione tra i nostri due Paesi dal 1979: è indicazione che stiamo andando verso il superamento delle difficoltà affrontate nel corso della storia. Credo ci siano le basi per una soluzione» della questione del nucleare, ha spiegato il presidente in conferenza stampa. Obama ha aggiunto che un accordo con Teheran sul nucleare è possibile e che i team di entrambi i Paesi sono già al lavoro per trovare un'intesa. Il presidente Usa ha poi spiegato che i team di entrambi i Paesi lavoreranno insieme, e con il gruppo del 5+1, per andare verso un accordo. Gli Usa si coordineranno anche con gli alleati, incluso Israele, ha precisato. Il presidente americano ha quindi spiegato come lui e Rohani abbiano invitato i rispettivi team a «lavorare speditamente per raggiungere un accordo» sul nucleare. «La strada per un accordo importante sarà difficile - ha aggiunto - ma questa è l'unica opportunità per fare progressi con il nuovo governo iraniano».
Rohani ha infatti pronunciato una promessa: "Presenteremo un primo piano sul nucleare già a Ginevra''. L'appuntamento è fissato per il 15 e 16 ottobre, quando nella città svizzera si ritroveranno seduti attorno allo stesso tavolo i Paesi del cosiddetto '5+1' (Usa, Francia, Gb, Russia, Cina e Germania) e i rappresentanti di Teheran. Un tavolo al quale, ha assicurato il presidente iraniano, "parteciperemo senza porre alcuna precondizione". Obama ci crede: ''La strada che porta all'accordo è difficile e piena di ostacoli, ma penso che superare le differenze per una soluzione complessiva sul nucleare iraniano sia possibile'', ha affermato, rendendo noto oggi il suo colloquio di 15 minuti con Rohani durante una dichiarazione Tv dalla Casa Bianca
lunedì 16 settembre 2013
La storica lettera di Obama a Rohani
Primi contatti fra il presidente americano Barack Obama e il suo avversario iraniano Hassan Rohani che si sono scambiati lettere, come ha detto Obama in una intervista all'emittente televisiva Abc. "Penso che gli iraniani comprendano che la questione del nucleare è un problema molto più importante per noi di quello delle armi chimiche", ha affermato il presidente. "Ciò che dobbiamo trarre da questa lezione (dalla questione siriana, ndr) è che c'è' il potenziale per risolvere tali questioni in modo diplomatico. Il nuovo presidente non renderà le cose improvvisamente facile, ma se insieme a una minaccia credibile della forza c'e' uno sforzo diplomatico rigoroso, allora si riescono a fare accordi", ha sottolineato.
C'è una data che segna la storia del Medio Oriente: il 4 novembre 1979 quando il sequestro dei 52 ostaggi americani nell'ambasciata Usa a Teheran (rilasciati nel gennaio 1981) sancì la rottura delle relazioni diplomatiche tra l'Iran di Khomeini e gli Stati Uniti. Da quel momento gli Stati Uniti hanno sempre visto nella repubblica sciita degli ayatollah un nemico ostinato che minacciava Israele, principale alleato nella regione, e le monarchie petrolifere sunnite del Golfo.
Lo scambio di lettere tra Barack Obama e il presidente Hassan Rohani può cambiare questa storia, soprattutto se sarà seguito da un incontro tra i due ai margini della prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, come ipotizzano diversi organi di stampa. Obama e Rohani si sono consultati sulla Siria, dove l'Iran rappresenta con gli Hezbollah libanesi il principale sostegno militare del regime di Assad, ma è chiaro che in primo piano c'è il dossier nucleare e il programma iraniano per l'arricchimento dell'uranio, sospettato di avere finalità nucleari.
In questi tre decenni di guerra fredda tra Teheran e Washington iraniani e americani hanno provato a fare diplomazia segreta con risultati disastrosi (l'affare Iran-Contras) o ambigui, durante l'invasione Usa dell'Afghanistan nel 2001 e l'occupazione dell'Iraq nel 2003. Nell'ufficio di Hashemi Rafsanjani, ex presidente e uno dei fondatori della repubblica islamica, un giorno mi fu persino mostrata una Bibbia con una firma di Ronald Reagan (difficile dire se fosse autografa). Ma la questione di fondo è rimasta: non ci può essere stabilità in Medio Oriente fino a quando la superpotenza americana e quella regionale del Golfo non si metteranno d'accordo per ristabilire relazioni diplomatiche.
Certamente anche a Teheran qualche cosa è cambiato: il nuovo presidente Rohani ha nominato uno staff dove sono almeno un paio i ministri che hanno studiato negli Usa e che conoscono bene l'America (uno ha persino la green card e la residenza a New York). Segnali di apertura sono stati colti dal vice ministro degli Esteri italiano Lapo Pistelli, unico rappresentante ufficiale di un governo occidentale a recarsi recentemente a Teheran e con frequenti contatti con la diplomazia americana.
Obama in queste ore ha ridimensionato il tono distensivo usato nella lettera a Rohani che attribuisce un «ruolo decisivo» all'Iran sulla questione siriana: «Credo che gli iraniani comprendano che la questione nucleare è un problema ben più importante per noi che quello delle armi chimiche siriane». Come a dire: ci scriviamo ma resta l'opzione militare per impedire che Teheran abbia l'atomica nei suoi arsenali o la possibilità di costruirla. Eppure questa apertura potrebbe cambiare la direzione degli eventi: se avvenisse davvero sarebbe forse il più importante lascito strategico della politica di Obama in Medio Oriente.
Pubblichiamo l’intervista di George Stephanopoulos su Abc News al presidenete USA Barack Obama
Presidente, solo due settimane fa sembrava pronto ad attaccare la Siria. Ora sta negoziando con la Russia. È quello che si immaginava allora? Crede che ora gli Stati Uniti siano in una situazione migliore?
«Siamo decisamente in una situazione migliore. Tenga presente che il mio obiettivo è di fare in modo che quello che è successo il 21 agosto non accada ancora. Che non si debbano vedere oltre mille persone, più di 400 bambini, vittime di gas letali. Questa è stata un violazione delle leggi internazionali e della comune decenza. Ora abbiamo l’occasione di fare in modo che non accada più».
Crede che un attacco come quello del 21 agosto non si ripeterà?
«I russi dicono che il regime di Assad non avrebbe mai potuto fare una cosa simile. L’hanno detto quando gli ispettori non erano nemmeno ancora arrivati. Come conseguenza della nostra pressione delle ultime due settimane la Siria, che per la prima volta ha riconosciuto di possedere armi chimiche, ha accettato di aderire al trattato che ne vieta l’uso. Ora i russi dicono che convinceranno la Siria a eliminare tutte le armi chimiche. Non abbiamo ancora prove concrete e verificate che il processo sia effettivamente iniziato, ma i progressi fatti in queste due settimane sono notevoli. La reazione di Assad a delle proteste pacifiche ha portato a un conflitto interno che ha causato centomila vittime e sei milioni di profughi. Ma gli Stati Uniti non possono entrare nella guerra civile di qualcun altro. Non manderemo truppe da terra, non possiamo insediarci militarmente in Siria».
In passato ha detto che invece bisognava andarci, in Siria…
«Quello che possiamo fare ora è accertarci che le armi peggiori, quelle che non distinguono tra un soldato e un bambino, non siano usate. Se riusciamo in questo compito si potrà iniziare un processo internazionale al quale partecipino anche i Paesi vicini ad Assad, soprattutto Iran e Russia, e che venga riconosciuto che la guerra civile è terribile per il popolo siriano. Occorre arrivare, in modo serio, a una qualche soluzione politica».
Putin ora è diventato un improbabile partner dell’America. Nell’editoriale che ha suscitato moltissime polemiche qui negli Stati Uniti, ha detto: «Non c’è ragione di credere che ad usare le armi chimiche siano stati i ribelli». Lei crede che potrebbe mentire per proteggere Assad?
«Nessuno al mondo prende seriamente in considerazione l’ipotesi che siano stati i ribelli a usare i gas. È vero che ci sono estremisti, inclusi i gruppi affiliati ad Al Qaeda, che non si farebbero nessun problema a usare armi chimiche in Siria e fuori. In ogni modo, gli Stati Uniti e la Russia devono lavorare insieme».
In Siria avete gli stessi obiettivi?
«Non penso che Putin abbia gli stessi valori che abbiamo noi. Ma entrambi abbiamo lo stesso interesse nell’evitare che la Siria precipiti nel caos totale e nel prevenire il terrorismo. La situazione in questo momento è insostenibile. Dovremo lavorare insieme per cercare di trovare un modo in cui gli interessi di tutte le parti - gli alawiti, i sunniti, i cristiani - siano rappresentati, e di portare la temperatura verso il basso in modo che le cose orribili che stanno accadendo nel Paese cessino immediatamente. Nonostante tutte le nostre differenze reciproche mi rallegra che la Russia sia coinvolta, e che potenzialmente, lo possa essere anche l’Iran».
Non pensa che Putin si stia prendendo gioco della situazione e di lei?
«Sa, Ronald Reagan disse “Fidati, ma verifica”. Penso sia sempre andata così, soprattutto quando si interagiva con i leader sovietici un tempo, i russi oggi. Io e Putin abbiamo forti disaccordi su tutta una serie di questioni, ma possiamo parlare. E abbiamo lavorato insieme su temi importanti, come l’Afghanistan e in operazioni antiterrorismo. Questa non è la guerra fredda. Questa non è una gara tra gli Stati Uniti e la Russia. Se Mosca vuole avere qualche influenza nella Siria post Assad, non colpisce i nostri interessi».
Cosa pensa della posizione dell’Iran?
«Con gli iraniani comunichiamo in via indiretta. Con il presidente Rohani ci siamo scambiati missive inerenti la situazione in Siria. E credo che comprendano che la questione nucleare è un problema ben più importante per noi che quello delle armi chimiche. La mia idea è che gli iraniani abbiano capito che non devono pensare che, poiché non abbiamo colpito la Siria, non colpiremmo l’Iran. Allo stesso tempo credo che dovrebbero capire che c’è una via di uscita diplomatica».
Parliamo di economia. Cade in questi giorni il quinto anniversario del crollo della Lehman. I sondaggi dimostrano che i due terzi degli americani pensano che stiamo andando nella direzione sbagliata, che l’economia non è stabile.
Che ne dice di chi pensa che Wall Street abbia vinto, ma la gente comune no?
«Pensiamo a dove eravamo cinque anni fa. Eravamo sull’orlo di una grande depressione. In qualche modo perfino peggiore di quella degli Anni 30. Abbiamo stabilizzato la situazione, ora sono 42 i mesi consecutivi di crescita, sette milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro, 500 mila posti di lavoro nel settore manifatturiero, 370 mila posti di lavoro in un settore auto che era completamente crollato. Il sistema bancario funziona. Si stanno dando prestiti alle imprese. Il mercato immobiliare ha recuperato. Ma è anche vero che non siamo vicino a dove dovremmo essere».
Il 95% dei guadagni all’1% della popolazione. È impressionante…
«Lo è. Nonostante i progressi fatti dopo la crisi, gli americani della classe media e i più poveri non ne hanno beneficiato come l’1% del Paese, i più ricchi. Le classi sociali più basse e la middle class non hanno visto crescere il loro reddito, non solo negli ultimi tre, quattro anni, ma negli ultimi 15. E così tutto quello che ho fatto è stato stabilizzare l’economia e rilanciare la crescita, iniziare a produrre di nuovo posti di lavoro e invertire la tendenza degli ultimi decenni. Ecco perché abbiamo reso il sistema fiscale un po’ più giusto chiedendo ai più ricchi di pagare di più. In questo contesto è inutile che i repubblicani continuino a insistere con altri, eccessivi, tagli al bilancio: produrrebbero solo l’aumento di disparità sul fronte dei redditi».
In un’eventuale sfida alle primarie democratiche tra Hillary Clinton e Joe Biden lei continuerà a rimanere neutrale come ha fatto fino ad ora?
«È troppo presto per cominciare a parlare delle elezioni presidenziali del 2016. Sono stato rieletto appena da un anno. Adesso il mio interesse è tutto sull’America, lascio a voi preoccuparvi della politica».
domenica 15 settembre 2013
Concordia, dal naufragio per l'inchino alla rimozione. Pronti per la rotazione
Un'impresa mai tentata prima. Il più grande recupero navale della storia. Così viene definito il tentativo, che verrà compiuto a partire dalle ore 6 di lunedì, di ruotare e rimettere in verticale la Costa Concordia, gigante lungo 300 metri e pesante 114mila tonnellate mandato a morire da una sciagurata manovra il 13 gennaio 2012 su uno scoglio davanti all'isola del Giglio. In quel tragico incidente morirono 32 persone, tra le quali anche una bimba di 5 anni. Due vittime sono ancora disperse. All'operazione - detta in gergo nautico parbuckling - lavorano da mesi più di 500 persone, per un costo che supererà i 600 milioni di euro. Questo il 'calendario' della vicenda della sfortunata nave della compagnia Costa Crociere.
In una nota la Protezione Civile ha spiegato che "prenderanno il via domani, lunedì 16 settembre, le operazioni di parbuckling della nave Costa Concordia. In virtù delle previsioni meteo-marine per la giornata di domani su Isola del Giglio elaborate dal Centro Funzionale Centrale del Dipartimento della
GENNAIO 2012 - La Costa Concordia, con oltre 4229 persone a bordo, si avvicina troppo alla costa del Giglio probabilmente per un 'inchino', cioè un passaggio ravvicinato all'isola. A causa della collisione 32 persone perdono la vita. Giorni dopo vengono salvate tre persone ancora a bordo: una coppia di giovani sposi coreani ed il commissario di bordo Manrico Giampedroni. Il comandante della nave Francesco Schettino viene fermato poche ore dopo il naufragio e portato in carcere.
FEBBRAIO - Sull'Isola si forma un comitato di cittadini per stimolare il lavoro di rimozione del relitto del quale e' incaricato come commissario straordinario il capo della protezione civile Franco Gabrielli. Comincia il pompaggio del carburante rimasto nei serbatoi della nave che rappresenta uno dei più seri pericoli per l'ambiente.
MARZO - A meno di due mesi dal naufragio l'inchiesta ha una svolta: il 3 marzo si svolge a Grosseto l'incidente probatorio per gli accertamenti sulla scatola nera della nave. Oltre agli indagati (ufficiali di bordo e dirigenti Costa, tutti assenti) sono invitati all'udienza gli oltre 4.200 che erano a bordo. Tra legali e parti saranno in circa 800 nel teatro trasformato in aula di tribunale. Fine rimozione acque nere.
APRILE - Al comandante Francesco Schettino, ai domiciliari dal 7 febbraio, viene concesso un permesso per il pranzo di Pasqua dalla sorella.
MAGGIO - ''Ho preso con la poppa un fondale basso, io sono passato e ci stava questo piccolo scoglietto...": e' Schettino che parla al telefono con il capo dell'unita' di crisi della Costa, Roberto Ferrarini, anche lui indagato, nell'immediatezza della collisione. La conversazione è tra quelle rivelate dalla scatola nera. Intanto viene presentato il progetto di recupero della nave: prevede la rimessa in galleggiamento del relitto per condurlo nel porto di Piombino e smantellarlo. Fine recupero materiale depositato sul fondo.
GIUGNO - Cominciano, anche simbolicamente, con il taglio dell'albero della nave i lavori di rimozione del relitto per monitorare i quali viene istituito dal Governo un'osservatorio'. Al via, tra le incertezze, la stagione turistica al Giglio.
LUGLIO - Revocati gli arresti domiciliari al comandante Schettino. ''Non era un inchino, ma solo un passaggio. E' stato poi il mio fiuto, il mestiere, a farmi fare quella sterzata repentina a dritta'': cosi' spiega il comandante la 'manovra' con cui la nave e' arrivata a ridosso del porto dopo l'impatto.
SETTEMBRE - Consegnata la perizia sulla scatola nera: mille pagine e 7 dvd in cui gli esperti hanno 'trascritto' tutto ciò che e' avvenuto a bordo della Concordia il 13 gennaio. Emerge che Schettino non si rese forse conto della situazione di emergenza e che in plancia alcuni ordini furono segnati da errori. L'abbandono nave avvenne con 50 minuti di ritardo.
OTTOBRE - Udienza a Grosseto per illustrare gli esiti della maxi-perizia. In aula c'e' anche il comandante Schettino che stringe la mano ad uno dei naufraghi: ''Sì, la verita' va appurata'', dice. Il procuratore Verusio commenta la versione del comandante: a portare la nave davanti al porto ''fu la mano del buon Dio, non una manovra''.
NOVEMBRE - Cominciano le preoccupazioni per i tempi sulla rimozione del relitto. Intanto c'è la messa in sicurezza del relitto con il collegamento di 4 sistemi di ritenuta.
DICEMBRE - L'avvocato di Schettino, Bruno Leporatti, lascia la difesa del comandante. Intanto viene deciso di ricollocare dov'era lo scoglio strappato dalla nave e rimasto conficcato nella chiglia. L'inchiesta si conclude: 8 gli indagati ai quali è diretto l'avviso conclusione indagini. Tra gli indagati, a sorpresa, anche il commissario-eroe Manrico Giampedroni.
GENNAIO 2013 - La rimozione del relitto viene fissata per settembre. Il sindaco del Giglio, Sergio Ortelli, chiede che venga prorogato lo stato di emergenza.
GIUGNO: fine installazione delle 6 piattaforme subacquee.
LUGLIO - Arrivano le prime condanne del tribunale di Grosseto: vengono confermati i patteggiamenti per Ciro Ambrosio, Silvia Coronica, Jacob Rusli Bin, Roberto Ferraini e Manrico Giampedroni, accusati di omicidio plurimo colposo e lesioni colpose. Gli ufficiali Ambrosio, vice di Schettino in plancia, e Coronica, E il timoniere indonesiano Rusli Bin, anche di naufragio colposo. Ferrarini era il capo dell'unità di crisi della flotta di Costa Crociere: ha la pena più alta, 34 mesi. Giampedroni, direttore dell'hotel di bordo, due anni e 6 mesi. Gli altri tre imputati sono sotto i due anni. Il comandante Schettino rimane l'unico imputato del processo: anche per lui la difesa ha chiesto il patteggiamento, ma non gli è stato concesso. Dovrà rispondere di omicidio plurimo colposo, lesioni e naufragio colposo, di abbandono nave e di incapaci a bordo.
AGOSTO - Installazione di 11 cassoni sul lato sinistro della nave e dei blister tanks di prua.
SETTEMBRE - Sarà dato domani alle 14 dalla Protezione civile, lok definitivo alla rotazione del relitto della Concordia, prevista a partire dalle 6 di lunedì. La conferma arriverà dopo le ultime valutazioni meteo e del mare.
Protezione Civile in coordinamento col servizio meteo del centro funzionale decentrato della Regione Toscana presso il consorzio LAMMA, i tecnici del Consorzio Titan/Micoperi hanno confermato la possibilità di effettuare le operazioni nella giornata di domani.
sabato 14 settembre 2013
Alle Hawaii si vola gratis
Il desiderio di chiunque si accinga ad acquistare un biglietto aereo online: fare il proprio viaggio a costo zero. E' successo ai passeggeri della United Airlines, una delle maggiori compagnie aeree statunitensi, che arrivati al momento in cui si deve tirar fuori la carta e pagare il biglietto hanno scoperto che il loro volo era gratis. Zero dollari, la tariffa applicata - per un errore nel sistema informatico - e solo pochi dollari di tasse e commissioni. Un volo per Los Angeles con scali e interconnessioni è costato così poco meno di 10 dollari.
Così come una tratta per le Hawaii. Nonostante l'inattesa 'offerta' sia stata causata da un errore del computer - riportano i media americani - la compagnia aerea ha fatto sapere, con un tweet, che "onorerà" i biglietti emessi. Naturalmente, appena accortasi dell'errore, ha sospeso "temporaneamente" il suo sito per riparare il danno che ha consentito l'emissione dei biglietti scontatissimi. Solo che nel frattempo erano passate circa due ore.
E la voce sui social media è corsa veloce. C'è stato persino chi ha cominciato ad acquistare 15-20 viaggi alla volta. Sconosciuto il numero di biglietti emessi in quel lasso di tempo e soprattutto quanto l'errore costerà alla compagnia. Bob Stokas di Chicago, uno dei 'fortunati' viaggiatori, ha raccontato alla NBC di aver acquistato un biglietto di ritorno a Los Angeles, aspettandosi di pagare fino a 800 dollari. "Quando sono andato a verificare la tariffa, compresi i voli di collegamento, ho scoperto che da e per Los Angeles mi sarebbe costato 10 dollari a persona: è stato uno shock e una sorpresa", ha detto. Nancy Ilk, del Minnesota, ha pagato solo 10 dollari per volare da Minneapolis a Houston e da li' fino al Reagan National di Washington.
Peraltro i 10 dollari pagati risultavano come una "tassa di sicurezza" imposta dopo l'11 settembre. Non è la prima volta che la United incappa in un errore del genere. L'anno scorso toccò ai voli dagli Stati Uniti per Hong Kong: solo 33 dollari per un biglietto che normalmente ne costa 11.000. In quel caso i 33 dollari furono rimborsati e i passeggeri non poterono effettuare il loro viaggio. Errori simili sono capitati anche in Italia, senza però nessun lieto fine per i viaggiatori. A ottobre dell'anno scorso per via di un 'bug' sul sito dell'Alitalia, furono venduti centinaia di biglietti a costo zero. A differenza della United, però, la nostra compagnia di bandiera decise di annullarli.
lunedì 9 settembre 2013
Siria: da Mosca spiragli di pace
Arrivano da Mosca i primi spiragli di una soluzione alla crisi siriana. È infatti la Russia a portare avanti una nuova iniziativa diplomatica tesa a sventare un attacco militare Usa in Siria. La proposta è quella di mettere sotto controllo internazionale gli armamenti chimici siriani. Una soluzione che Damasco sembra, almeno per il momento accettare, anche se i ribelli hanno accusato il regime di Bashar al Assad e il suo alleato russo di mentire su questa nuova misura di protezione. In serata gli Stati Uniti accolgono (almeno in parte) la mediazione: «Esamineremo approfonditamente la proposta russa sulle armi chimiche in mano al regime siriano», ha detto Tony Blinken, vice consigliere nazionale alla sicurezza della Casa Bianca. Anche se i toni della consigliera alla sicurezza nazionale Susan Rice sono durissimi spiegando che non ci sono alternative all'attacco armato: «L'azione militare contro Damasco non sarà un'altra guerra», ma un attacco limitato. Intanto, come fa sapere un portavoce, il capo del Dipartimento di Stato Usa, John Kerry, ha avuto un contatto telefonico con il ministro degli Esteri russo Lavrov proprio sul tema del controllo delle armi chimiche in Siria.
Il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, ha chiesto all'alleato regime di Bashar al-Assad di aderire all'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac) e di permettere all'Onu di mettere sotto controllo i suoi arsenali chimici in vista di una loro distruzione. La richiesta è stata avanzata al capo della diplomazia siriana, Walid Muallem, in visita a Mosca, e Lavrov ha auspicato una risposta «rapida e positiva». Lavrov ha anche offerto la disponibilità russa a collaborare per mettere sotto controllo le armi chimiche siriane, «se questo servirà a evitare un attacco militare». Una proposta che stata accolta con favore da Damasco. «La Siria accoglie con favore l'iniziativa russa, basata sull'attenzione del governo siriano per la vita del suo popolo e la sicurezza del suo Paese», ha dichiarato Muallem. «Assad potrebbe evitare un attacco consegnando le sue armi chimiche alla comunità internazionale entro la settimana prossima», lo ha detto il segretario di Stato Usa John Kerry, aggiungendo tuttavia che il presidente siriano «non sembra sul punto di farlo». E' questa la dichiarazione più importante di Kerry al termine del colloquio a Londra con il ministro degli Esteri britannico Hague.
Assad potrebbe evitare un attacco consegnando le sue armi chimiche alla comunità internazionale entro la settimana prossima". Lo dice al presidente siriano il segretario di Stato Usa. "Le armi chimiche in Siria sono sotto il controllo di Assad, del fratello Mahar e di un altro generale",dice Kerry. "La soluzione alla crisi non è sul campo di battaglia, dobbiamo arrivare al negoziato", aggiunge, sottolineando tuttavia che la via pacifica è stata perseguita per anni. Dopo la proposta di Mosca sulle armi chimiche, telefonata tra Kerry e il ministro degli Esteri russo, Lavrov.
La proposta di Mosca è arrivata sulla scia delle nuove dichiarazioni statunitensi. «Assad potrebbe evitare un attacco consegnando le sue armi chimiche alla comunità internazionale entro la settimana prossima», ha detto infatti il segretario di Stato Usa John Kerry, aggiungendo tuttavia che il presidente siriano «non sembra sul punto di farlo». E' questa la dichiarazione più importante di Kerry al termine del colloquio a Londra con il ministro degli Esteri britannico Hague. Gli Stati Uniti continuano così il lavoro di persuasione del popolo americano: il pericolo per le armi chimiche non è solo per i civili siriani, ma anche per «i soldati e i diplomatici americani nella regione e potenzialmente per i cittadini in patria». La necessità di intervenire si fa sempre più urgente perché, ha spiegato ancora la Rice «solo Damasco ha la capacità di usare armi chimiche sulla scala che abbiamo visto il 21 agosto. Se non lo affrontiamo, lo farà di nuovo. Questa possibilità porta il conflitto in Siria a un livello interamente nuovo».
Da parte sua Assad ha replicato indirettamente alla proposta di Kerry: «Se ci sarà un attacco contro la Siria, aspettatevi risposte a tutto campo, perché non siamo l'unico attore nella regione», ha detto il presidente siriano alla Cbs. Assad ha poi negato che il regime sia dietro agli attacchi di gas nervino e ha sostenuto come le forze governative siano state esse stesse prese di mira dall'uso di armi chimiche.
Chiarimenti sono arrivati anche dal Ministro degli esteri inglese, William Hague, che ha spiegato come non ci sia nessuna differenza di visione strategica tra Gran Bretagna e Usa, anche se uno Stato parteciperà al possibile intervento militare contro il governo siriano, mentre l'altro no. La posizione della Gran Bretagna sull'intervento in Siria dopo il voto in Parlamento è chiara, ma «obiettivi e sforzi con gli Stati Uniti restano allineati» ha detto infatti Hague durante la conferenza stampa congiunta con il segretario di Stato Usa. Gli Stati Uniti hanno il «totale sostegno diplomatico», della Gran Bretagna sulla Siria ha aggiunto Hague.
«Il nostro legame è più forte di un voto» ha replicato Kerry rispetto alla cosiddetta «special relationship» che lega Londra e Washington, alla luce proprio del voto al parlamento britannico che ha escluso il coinvolgimento di Londra nell'azione in Siria.
«La soluzione politica resta la soluzione ultima per la fine del conflitto in Siria», che non si può concludere con un'azione militare, ha precisato il segretario di Stato Usa, sottolineando tuttavia che la strada della soluzione politica «è stata perseguita per anni». «I rischi che comporta non agire (in Siria) sono maggiori di quelli di un'azione» ha aggiunto Kerry.
E sulla questione è tornato il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon che durante una conferenza stampa ha dichiarato: «Se le armi chimiche sono state usate in Siria, la comunità internazionale deve fare qualcosa». Il segretario del Palazzo di Vetro ha anche comunicato di non aver ancora ricevuto la relazione degli esperti sulle armi chimiche e ha sottolineato nuovamente «l'imbarazzante paralisi del Consiglio di Sicurezza sulla Siria» e sta già considerando diverse proposte da fare ai Quindici quando riceverà il rapporto del team di esperti Onu.
Il capo dell'Esercito libero siriano, Selim Idriss, ha accusato il regime di Bashar Al Assad e il suo alleato russo di mentire, dopo che Damasco ha accettato di mettere sotto controllo internazionale il proprio arsenale chimico, dietro proposta di Mosca. In un'intervista alla tv Al Jazira, Idriss invita l'Occidente ad attaccare e avverte: "Il regime dice bugie e Putin è il suo maestro di menzogne".
domenica 8 settembre 2013
Le relazioni fra Stati Uniti e Russia sembrano mutare
Nei primi sei mesi del 2013 gli scambi bilaterali si sono ridotti rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Sebbene il saldo sia ancora a favore di Mosca, tuttavia con la ripresa dell'economia statunitense il disavanzo nel commercio estero degli USA è diminuito in seguito all'incremento generale dell'export e alla contrazione delle importazioni. A registrare la maggiore crescita in giugno, secondo lo U.S. Census Bureau-U.S. Department of Commerce, sono stati l'olio combustibile e i prodotti petroliferi seguiti da beni capitali in settori ad alto contenuto tecnologico come le telecomunicazioni e i motori per aerei nonché industriali.
Benché la Russia non sia fra i primi 15 partner commerciali degli Usa per valore degli scambi (guidati invece da Canada, Cina, Messico e Giappone), tuttavia la Russia è fra i paesi che hanno ancora un surplus commerciale con gli Usa esportando oltreoceano prodotti di trasformazione dell'industria meccanica e chimica, oltre che materie prime e petrolio. Il rallentamento attuale dell'economia russa contrasta con questo scenario. Il modello basato sulla ricchezza creata dall'esportazione di petrolio mostra i suoi limiti ed è reso più vulnerabile dal declino del prezzo del greggio e dalla recessione europea.
A questi fattori di debolezza si deve aggiungere la singolare presenza di uno Stato che, nel 2008-2012, ha accresciuto di oltre 1 milione i posti di lavoro pubblici e che oggi controlla circa un quarto della forza lavoro nazionale. Ciò è avvenuto a scapito del settore privato che,nello stesso periodo, ha perso 300.000 posti di lavoro trovandosi a competere ad armi impari con le imprese di Stato per risorse umane, servizi e trasporti.
Va messo in edidenza che le compagnie petrolifere russe costituiscono circa la metà del valore dello stock market nazionale e che Gazprom produce da sola il 10% dell'export. E' comprensibile perciò che la rivoluzione dello shale-gas americano preoccupi profondamente Mosca. Essa infatti rischia di minare le fondamenta dell'odierno capitalismo di Stato russo poiché al momento della rielezione, lo scorso maggio, il presidente Vladimir Putin ha escluso dalla privatizzazione il settore dell'energia, nonché quello della difesa. Inoltre lo shale-gas sta cambiando l'equilibrio di potere fra Mosca e gli acquirenti europei poiché i rifornimenti di gas liquefatto del Medio Oriente che gli Usa non intendono più acquistare, vengono ora offerti ai paesi europei spingendo verso il basso i prezzi sul mercato mondiale.
Come dimostrano sia il taglio del 20% sui prezzi di fornitura per un contratto decennale siglato dalla Bulgaria, sia la riduzione contrattata dall' Eni lo scorso giugno. Senza dire delle conseguenze cha avranno sul petrolio russo le iniziative di paesi una volta appartenenti all'orbita sovietica come Polonia e Ucraina i quali stanno sviluppando le loro forniture di shale tanto per motivi economici quanto strategici.
Sullo scenario internazionale Mosca deve inoltre fare i conti con le ambivalenze e i rischi del rapporto strategico con Pechino. Sebbene negli ultimi anni con l'espansione degli scambi le relazioni fra i due paesi siano migliorate, tuttavia gli interessi restano contrastanti. Così nell'Asia Centrale la Cina sta cercando di mettere da parte la Russia con una politica di aiuti economici e di investimenti in infrastrutture, strade e oleodotti che sta serrando gli stati della regione sempre più strettamente nell'abbraccio cinese. Per parte sua, il presidente Putin mira ad allargare l'attuale unione doganale con Kazakistan e Bielorussia a Kirghizistan e il Tagikistan sino a creare una più ampia Unione euroasiatica entro il 2015, e ciò proprio per limitare l'orbita di attrazione cinese sugli stati dell'Asia Centrale.
D'altra parte Pechino e Mosca hanno in comune il desiderio di rompere e superare l'ordine del dopo-guerra fredda disegnato da Washington e perciò supportano le istituzioni internazionali che includono i nuovi players globali in una posizione di parità con gli Stati Uniti e i suoi tradizionali alleati. Come dimostra la presenza e la leadership di russi e cinesi nell'alleanza militare ed economica della Shanghai Cooperation Organization, nonché il sostegno e il rilievo dati agli incontri del G20. Infatti la continuità del G20 è un obiettivo strategico per Mosca. L'analisi predisposta dal Cremlino, nel dicembre 2012, per la presidenza russa del Summit che si terrà a San Pietroburgo a settembre, indica fra i principali fattori di incertezza dell'economia mondiale il "fiscal cliff" americano e la crisi del debito in Europa.
E individua in un insieme di misure che mirino a stimolare una crescita economica "sostenibile, inclusiva ed equilibrata", nonché nella creazione di nuovi posti di lavoro, gli strumenti per lo sviluppo di una società moderna.
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