sabato 28 aprile 2018
Storico incontro fra le due Coree: stretta di mano tra Moon Jae-in e Kim Jong-Un a Panmunjom
"La storia ricomincia da qua". E' quanto Kim Jong-Un ha scritto sul guestbook dedicato allo storico incontro con il presidente sudcoreano Moon Jae-in. Dopo la stretta di mano al confine, i due si sono poi diretti verso la 'Peace House', nel villaggio di confine di Panmunjom, per avviare colloqui su pace e denuclearizzazione della penisola. I due leader hanno poi piantato assieme un albero - un pino del 1953 - lungo la linea di demarcazione militare coreana stabilita a seguito del cessate il fuoco alla fine della Guerra di Corea nel 1953. La terra e l'acqua utilizzate per l'operazione provenivano dalle zone a Nord e a Sud della linea di demarcazione. Durante la cerimonia, Kim è stato aiutato dalla sorella Kim Yo-jong a indossare i guanti bianchi e quindi - assieme al presidente Moon - ha gettato terra sulla base della pianta. "Questo è un posto carico di significato - ha sottolineato Kim durante la cerimonia - e in effetti è una nuova primavera che è arrivata al nord e al sud". "Spero - ha aggiunto - di trarre il massimo dalle opportunità della giornata di oggi e spero che assieme a questo pino possano fiorire le nostre relazioni".
Una zona definita 'Area di sicurezza congiunta' (JSA, Joint Security Area) che si trova a Panmunjom ed è dove Corea del Nord e Corea del Sud hanno firmato l'armistizio. Questa linea di demarcazione - lunga circa 250 km - è controllata sia da soldati nordcoreani che da militari sudcoreani e va dal Mar del Giappone al Mar Giallo, attraversando l'intera penisola. Questo incontro è il terzo mai tenuto tra i leader dei due Paesi: Kim Jong-Il (padre di Kim Jong-Un) aveva già incontrato due presidenti del Sud, Kin Dae-Jung nel 2000 e Roh Moo-hyun nel 2007 a Pyongyang.
La divisione tra Nord e Sud nasce nel 1945 quando, con la II Guerra Mondiale appena terminata, il Giappone - che dopo la prima guerra sino-giapponese di fine '800 e il Trattato di Shimonoseki (in cui Pechino cedeva a Tokyo l'isola di Taiwan e la Corea diventava pienamente indipendente) nel 1910 decide di annettere la Penisola - ne esce sconfitto. La Corea viene così divisa in due aree di occupazione: quella russa e quella americana, all'altezza del 38° parallelo. La Repubblica Democratica Popolare di Corea (nome completo della Corea del Nord) di influenza sovietica; la Repubblica di Corea (quella del Sud), invece, con influenza statunitense.
Poi, il 12 dicembre 1948, si svolgono elezioni solo nel Sud, sotto la supervisione dell'Onu: Syngman Rhee diventa presidente della Repubblica di Corea fino al 1960 quando, dopo la sua quarta rielezione, "l'esplosione della protesta popolare diede luogo a gravi disordini; costretto a dimettersi e a lasciare il Paese - si legge sull'enciclopedia Treccani - trascorre gli ultimi anni di vita nelle Hawaii".
Contemporaneamente al Nord nasce la Repubblica Democratica Popolare di Corea, retta da un governo comunista presieduto da Kim Il-sung: presidente del Partito comunista (dal 1949 Partito operaio coreano) con la proclamazione della Repubblica Democratica diventa primo ministro.
Nel 1972 lascia la carica per diventare presidente della Repubblica a cui la nuova Costituzione - varata in quell'anno - attribuisce la direzione dell'esecutivo. "Principale artefice dell'edificazione di un regime socialista nella Corea del Nord - riporta la Treccani - mantenne una posizione di equidistanza nel contrasto fra Urss e Cina e continuò a perseguire l'obiettivo di una riunificazione del Paese, tentando più volte di avviare negoziati con il governo di Seul". Negoziati che, oggi, possono sperare nel nuovo storico incontro.
Le due Coree di sono impegnate a trasformare entro il 2018 l'armistizio siglato nel 1953 in un vero e proprio trattato di pace. Lo prevede la dichiarazione congiunta firmata dai leader Moon Jae-in e Kim Jong-un.
"Abbiamo aspettato a lungo questo momento per molto tempo e quando è giunto abbiamo realizzato che siamo una nazione, che siamo vicini". E' il messaggio letto dal leader nordcoreano Kim Jong-un, a commento della firma della dichiarazione congiunta. "Siamo legati dal sangue e i compatrioti non possono vivere separatamente", ha aggiunto.
Il leader nordcoreano Kim Jong-un ha detto che non rovinerà più il sonno del presidente sudcoreano Moon Jae-in a causa del lancio di missili balistici, quale effetto dello stop ai test nucleari e balistici annunciato la scorsa settimana. E' quanto ha riferito Yoon Young-chan, portavoce dell'Ufficio presidenziale di Seul in un briefing coi media trasmesso da Arirang Tv. "Non interromperò più il sonno del primo mattino", ha affermato Kim rivolgendosi a Moon.
Le due Coree hanno concordato che il presidente Moon Jae-in debba visitare Kim Jong-un a Pyongyang in autunno. Lo dichiarazione congiunta firmata dai due leader, tuttavia, non precisa il periodo limitandosi a ricordare che tra i due ci saranno, su base regolare, incontri e telefonate dopo la recentissima apertura di una linea rossa.
"La guerra coreana finirà! Gli Stati Uniti, e tutto il suo grande popolo, dovrebbero essere molto fieri di ciò che sta avendo luogo adesso in Corea!": lo ha scritto in un tweet il presidente americano Donald Trump riferendosi allo storico incontro tra la Corea del Nord e del Sud sta avendo luogo. Stanno succedendo belle cose, ma solo il tempo potrà dirlo", aveva affermato in un tweet precedente.
Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, "plaude" al summit storico tra il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, e il leader nordcoreano, Kim Jong-un. In una nota del portavoce, Guterres "saluta il coraggio e la leadership che hanno portato a impegni e azioni concordate nella Dichiarazione di Panmunjom per la pace, la prosperità e l'unificazione della penisola". "E conta sulle parti perché attuino rapidamente tutte le azioni concordate per la riconciliazione inter-coreana, un dialogo sincero, progressi per una pace sostenibile e denuclearizzazione della penisola".
La Cina accoglie con favore l'esito del summit tra le due Coree esprimendo l'auspicio che le parti possano rafforzare il consenso raggiunto a Panmunjom per la riconciliazione. I leader dei due Paesi, ha commentato in una nota il portavoce del ministero degli Esteri Lu Kang, "hanno annunciato una dichiarazione congiunta sulla comune comprensione delle relazioni intercoreane, allentando le tensioni militari sulla penisola verso una pace permanente". Il risultato "aiuta la soluzione politica delle questioni della penisola".
Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha definito un "incontro storico" quello avvenuto tra i due leader coreani, precisando che l'Alleanza "sostiene pienamente una soluzione politica alle tensioni nella regione". "E' un primo, importante e incoraggiante passo", ha aggiunto, precisando che "è importante mantenere una forte pressione politica e diplomatica da parte della comunità internazionale".
In occasione dello "storico incontro" tra i presidenti della Corea del Sud e del Nord, "auguriamo al popolo coreano ogni bene" e "speriamo che i colloqui facciamo progressi verso un futuro di pace e prosperità per l'intera penisola coreana". E' l'auspicio della Casa Bianca.
Il governo giapponese auspica che i leader delle due Coree possano avere un incontro costruttivo che conduca a una comprensiva risoluzione delle questioni irrisolte, quali il negoziato sui cittadini giapponesi rapiti e lo stop al programma missilistico e nucleare di Pyongyang Paese. Lo ha detto il capo di Gabinetto Yoshihide Suga, che si è astenuto, tuttavia, dal fare previsioni sull'esito dei colloqui. Alla domanda di un cronista se il governo di Tokyo sarà informato sui dettagli da Seul, Suga ha risposto che le due diplomazie coordineranno congiuntamente gli sviluppi. A questo proposito il ministero degli Esteri nipponico, Taro Kono, ha ribadito che i due Paesi stanno lavorando assieme per stabilire le politiche da adottare verso il regime di Pyongyang. Secondo quanto riferito da fonti ministeriali, Kono si recherà in Corea del Sud all'inizio di maggio, per incontrare il suo omologo Kang Kyung Wha e parlare degli esiti del dialogo tra i due leader.
Sul fronte della denuclearizzazione, un passaggio della dichiarazione congiunta sottolinea l'obiettivo comune di Sud e Nord "di realizzare una penisola coreana priva di nucleare attraverso una completa denuclearizzazione". Il presidente sudcoreano ha poi aggiunto: "Il presidente Kim Jong-un ed io abbiamo convenuto che la completa denuclearizzazione sarà raggiunta, e questo è il nostro comune obiettivo".
Gli esperti però sono cauti: "La Corea del Nord da tempo si è impegnata alla denuclearizzazione della penisola coreana, che non è la stessa cosa di un disarmo unilaterale", ha detto alla Cnn Vipin Narang, docente del Security Studies Program del Mit di Boston. Il professore ha ricordato che nella 'Dichiarazione di Panmunjon' "il linguaggio non è nuovo e deve essere trattato con cautela, nonostante l'importanza storica del vertice". Anche Mike Chinoy, analista dell'Us-China Institute dell'University of California, ha invitato alla cautela e a "non lasciarsi prendere dall'entusiasmo di fronte alle scene straordinarie a cui assistiamo, c'è ancora un lavoro enorme da fare prima che queste intenzioni divengano passi effettivi".
I due leader hanno fatto sapere che nel corso dell'anno firmeranno un trattato di pace per porre fine formalmente alla Guerra di Corea, a 65 anni dalla conclusione delle ostilità. Il documento, denominato "Dichiarazione di Panmunjon per la pace, la prosperità e l'unificazione della penisola coreana" è stato presentato dopo la giornata di meeting e dopo una conversazione privata di 30 minuti da Kim e Moon.
giovedì 19 aprile 2018
La Cuba del dopo Castro: ecco Miguel Diaz-Canel
È la fine di un'era, ma una conclusione che ha in sé anche i segni della continuità quella che si vive oggi a Cuba, dove per la prima volta a capo dell'isola c'è un uomo che di cognome non fa Castro e che non ha partecipato direttamente alla guerriglia dei "barbudos".
Era stato annunciato ormai da tempo e non ci sono state grandi sorprese. Miguel Diaz-Canel è il nuovo presidente di Cuba il primo che non fa parte della famiglia Castro. Una presentazione in perfetto stile comunista con la promessa di difendere la rivoluzione e modernizzare il paese.
L'amministrazione Trump non è rimasta convinta dei proclami. Così la portavoce del dipartimento di Stato: "I cittadini cubani non possono davvero mettere bocca nel processo di transizione. Siamo delusi dal fatto che il governo cubano ha deciso di mettere la sordina all'opposizione e continuare il suo repressivo monopolio al potere, piuttosto che permettere al suo popolo elezioni sinceramente democratiche per arrivare a una scelta davvero ponderata di un leader.
Le reazioni sull'isola sono diverse da persona a persona. Alcuni combattono con la penuria economica e sono frustrati con l'enfasi del governo sulla continuità. "Molte cose dovrebbero cambiare a Cuba perché l'esperienza dimostra che ci sono sempre cose che vanno male. Non siamo perfetti". Altre persone sono più entusiaste: "Era un compagno che per me ha tutte le capacità che servono".
Washington ha ripetuto che continuerà a vigilare sull'isola anche se, per ora, non sembrano in dubbio le aperture della precedente amministrazione di Barack Obama.
"La rivoluzione continuerà", ha assicurato Miguel Diaz-Canel, il primo vice-presidente del governo, eletto come previsto per prendere il posto di Raul, fratello minore di Fidel Castro. Ma intanto si apre almeno in linea teorica un'era differente, che allontana il Paese dall'idea di un'isola a guida famigliare, pure se il generale Raul sovrintenderà da vicino il passaggio di potere: rimanendo a capo del Partito comunista fino al proprio congresso, che non si terrà prima del 2021; e mantenendo il grado militare che fa di lui l'ufficiale di più alto rango nelle forze armate cubane. Diaz-Canel ha reso omaggio al suo predecessore, Raul Castro, assicurando che resterà "a capo della vanguardia rivoluzionaria" in quanto segretario del Pcc e "prenderà le principali decisioni per il presente e il futuro" dell'isola. In risposta alle loro "preoccupazioni ed aspettative", ha aggiunto, i cubani sanno che possono contare sull'"esperienza e la leadership" del Pcc, l'eredità del pensiero di Fidel Castro e l'esempio di suo fratello Raul. In quanto alla "attualizzazione del modello economico e sociale" di Cuba, Diaz-Canel ha detto che è necessario "perfezionarne l'applicazione e correggerne gli errori, che spesso irritano la popolazione e seminano cinismo ed insoddisfazione", senza entrate nei dettagli della questione. Per quanto concerne la politica estera, il nuovo leader cubano ha assicurato che resterà "inalterabile", in un "contesto internazionale segnato da un ordine mondiale ingiusto", perché "Cuba non fa concessioni: mai cederemo i nostri principi in base a pressioni o minacce". "Siamo sempre disposti a dialogare con tutti, a partire dal rispetto, dall'essere trattati come uguali", ha indicato Diaz-Canel, prima di aggiungere che "la Rivoluzione è viva e va avanti", continuando a svilupparsi "senza timori e senza passi indietro".
Diaz-Canel è stato eletto nel secondo giorno dell'Assemblea nazionale che ha visto votare 604 deputati. Il 99,83% dei presenti - tutti tranne uno - hanno posto il loro voto sotto il nome del delfino di Castro, chiamato all'Avana nel 2009 per prendere il posto di ministro dell'Istruzione. Sarà ora il veterano Salvador Valdes Mesa ad affiancarlo come vice-presidente per i prossimi cinque anni.
Il 57enne Diaz-Canel, alle spalle una formazione da ingegnere e ruoli da leader locale nelle province di Villa Clara, dove è nato, e poi a Holguin, luogo d'origine della famiglia Castro, è ora sia presidente della Repubblica che del Consiglio dei ministri. Dovrà guidare un Paese in bilico, che aveva trovato la strada per un'apertura all'America e che ora deve fare i conti con un'amministrazione non necessariamente intenzionata a procedere sulla strada di una normalizzazione delle relazioni.
Per sei decenni i Castro hanno tenuto in mano le redini di Cuba. Da quando Fidel dichiarò la vittoria della rivoluzione nel 1959, fino a quando il fratello non ha passato il testimone, il nome dell'isola è sempre stato collegato ai due figli di Angel, un immigrato galiziano e Lina, una cubana.
Fidel pose fine alla dittatura di Fulgencio Batista, stabilendone un'altra e dando alla popolazione accesso universale ai servizi sanitari e all'istruzione. La caduta del blocco sovietico, suo principale sostenitore, mise in difficoltà il Paese, in particolar modo dal punto di vista economico.
Quando nel 2008 al potere salì Raúl, questo sorprese i cubani e il mondo intero con una politica più aperta del previsto. Il disgelo con gli Stati Uniti durante l'era Obama, rallentato poi con l'arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, è stato il suo più grande successo in campo estero.
Per quanto riguarda gli affari interni, il Presidente ha espanso l'attività imprenditoriale privata, ancora povera in un Paese nel quale i due terzi della popolazione lavora nel settore pubblico e lo stipendio medio è di trenta dollari al mese. "La vecchia mentalità ha battuto Raúl Castro. Il peso della vecchia mentalità è ancora fortemente segnato da alcune linee politiche", spiega Carlos Alzugaray, ex diplomatico cubano.
Raúl ha revocato molti dei divieti ai suoi connazionali, come la possibilità di andare all'estero, avere un'auto, una casa, un telefono cellulare o un forno a microonde. Raúl ha inoltre dichiarato più volte che Cuba non può incolpare l'embargo statunitense per tutto ciò che non funziona. Ora bisogna vedere se continuerà ad avere un'influenza sull'isola caraibica, in quanto capo del Partito comunista, una posizione che manterrà almeno fino al 2021.
mercoledì 18 aprile 2018
Corea, incontro Mike Pompeo con Kim Jong-un
Mike Pompeo, direttore della Cia in attesa della conferma in Senato della sua nomina a segretario di Stato, ha incontrato segretamente il leader nordcoreano Kim Jong-un. Lo ha svelato il Washington Post, precisando che la visita di Pompeo a Pyongyang è avvenuta nel weekend di Pasqua. Lo straordinario incontro tra uno dei più fidati uomini del presidente americano e il leader del regime nordcoreano rientra nello sforzo che sta compiendo l'amministrazione Trump per preparare il terreno ai colloqui diretti tra lo stesso Trump e Kim. E per trovare così ai massimi livelli una soluzione sul controverso programma nucleare di Pyongyang. L'incontro è quello di più alto livello avvenuto tra i due Paesi dal 2000, quando l'ex segretario di Stato Madeleine Albright si incontrò con Kim Jong-Il, il padre di Kim Jong-un. Un incontro tra Trump e il leader coreano è dato per probabile nel prossimo giugno.
Il primo grande contatto diretto, ancora di recente inimmaginabile, è avvenuto. Come nei film di fantascienza, o in questo caso di fantapolitica che si trasforma improvvisamente in realtà da toccare con mano.
Donald Trump ha spedito con successo un suo alto emissario - il capo della Cia e Segretario di Stato in pectore Mike Pompeo - ad un incontro faccia a faccia con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un. Un incontro che ha avuto luogo durante le feste di Pasqua per creare le condizioni di uno storico summit bilaterale tra i leader dei due Paesi, con in palio il un disgelo atomico nella penisola coreana e forse una vera e propria pace formale ormai sconosciuta da generazioni.
Il viaggio di Pompeo è stato organizzato in gran segreto, e questa volta non era filtrato, ad eccezione di indiscrezioni sull'apertura di canali di dialogo. Fino a quando nella serata di ieri lo stesso Trump, dalla sua residenza in Florida Mar-a-Lago, dove ha organizzato un vertice di due giorni con il premier giapponese Shinzo Abe, non ha sollevato esplicitamente il sipario. Ha parlato di colloqui diretti «ad altissimo livello» in corso tra Washington e Pyongyang e da lì alla rivelazione-shock, da parte di funzionari della Casa Bianca, che Pompeo aveva visto Kim il passo è stato breve. Uno degli oggetti della discussione, ovvio quanto cruciale: dove svolgere il summit, con al momento cinque località considerate dalla Casa Bianca.
La Cia è diventata il canale prescelto da Trump per questi colloqui preliminari, rispetto a più tradizionali missioni diplomatiche. Anche facendo di necessità virtù: il Dipartimento di Stato è infatti tuttora decimato dalle riorganizzazioni e demoralizzato dalla sfiducia della Casa Bianca, e appare in fase di transizione di leadership con l'avvento - non a caso - proprio del plenipotenziario dei servizi segreti Pompeo, molto vicino al presidente.
Il direttore della Cia aveva oltretutto già creato un canale di comunicazione con il regime di Kim attraverso i capi della sua controparte nell’intelligence, il Reconaissance General Bureau. Supporto ai contatti è stato fornito anche dai servizi sudcoreani, in particolare dal direttore del National Intelligence Service di Seul, Suh Hoon, che era stato portatore a Trump dell'originale invito di Kim al summit bilaterale a sopresa accettato dal presidente.
Trump in queste ore ha alluso a un'altra sorprendente e storica apertura: ha indicato che Corea del Sud e del Nord hanno il suo imprimatur - anzi letteralmente la sua «benedizione» - per «discutere la fine della guerra» quando i loro leader si vedranno entro fine mese. Vale a dire per cercare di sostituire l'attuale armistizio in vigore ormai dalla fine del conflitto coreano nel 1953 con un trattato di pace vero e proprio. Le due Coree, stando a fonti sia americane che di Seul, potrebbero iniziare con l'annuncio di un accordo propedeutico che allenti le tensioni militari, quale un ritiro di truppe dalla cosiddetta zona demilitarizzata che le separa. La prospettiva di un autentico trattato di pace, secondo Seul e Washington, sarebbe però il vero incentivo, la vera garanzia di sicurezza, da far balenare a Kim in cambio di una sua reale rinuncia a arsenali e programmi nucleari.
lunedì 9 aprile 2018
Sanzioni Usa crollano il rublo e la borsa di Mosca
La borsa di Mosca sconta le sanzioni Usa e lascia sul piatto pesanti perdite. L'indice MOEX (in rubli) segna infatti -3,4% mentre l'RTS (le prime 50 aziende russe indicizzate in dollari) segna -4,8%.
Nei commenti all’attacco chimico lanciato sabato su una delle ultime roccaforti della resistenza presso Damasco, Donald Trump ha chiamato in causa la Russia di Vladimir Putin preannunciando «un alto prezzo da pagare»: ma il fronte siriano è tornato a incendiarsi quando già gli Stati Uniti erano passati all’attacco su quello del Russiagate e delle sanzioni, decise per colpire le presunte interferenze russe nelle elezioni americane. Così, la crisi è esplosa contemporaneamente al lunedì nero di Putin.
Ed è a causa delle sanzioni che l’economia russa ha iniziato a pagare quell’«alto prezzo» di cui parla Trump, spingendo gli investitori a prendere le distanze. In mezza giornata, i sette oligarchi nel mirino avrebbero già perso - secondo i calcoli del quotidiano economico russo Vedomosti - 3,3 miliardi di dollari su un patrimonio totale di 32,5 miliardi, ma sono soprattutto a rischio la stabilità del rublo e la tenuta di un’economia vulnerabile, appena uscita dalla recessione. A quattro anni dalla loro comparsa in scena per la crisi ucraina, è adesso che le sanzioni contro la Russia - mentre si aspetta la risposta del Cremlino - iniziano davvero a mordere.
Il Dipartimento Tesoro statunitense era passato ai fatti con il cosiddetto “Kremlin Report”, la lista di oligarchi e compagnie più vicine a Putin, cruciali per la sopravvivenza del regime nella sfera dell’energia e delle materie prime. Washington li accusa di contribuire e trarre beneficio dalle «attività maligne» del Cremlino: nel mirino sono 7 businessmen, 12 compagnie e 17 alti funzionari. I loro assets negli Stati Uniti sono congelati, mentre scatta il divieto per gli americani di fare affari. Ma non è soltanto il mercato americano a chiudersi di fronte a loro. In base alla legge approvata a larga maggioranza dal Congresso americano l’estate scorsa, il bando può riguardare qualunque compagnia straniera con interessi negli Usa, come i partner europei di Gazprom: cittadini non americani, è scritto nella direttiva del Tesoro Usa, «possono incorrere in sanzioni nel caso dovessero facilitare consapevolmente transazioni significative con o per conto di individui o entità bloccati». L’isolamento dell’élite economica di Putin è quasi completo.
Al centro dell'uragano economico è soprattutto Oleg Deripaska, sospettato di essere vicino a Paul Manafort, ex responsabile della campagna presidenziale di Trump. Da solo, in poche ore Deripaska ha visto assottigliarsi il proprio patrimonio di 1,3 miliardi. Il “re dell’alluminio” controlla Rusal, primo produttore russo e secondo al mondo: il 14% dei suoi ricavi e il 10% delle vendite hanno origine negli Stati Uniti. Ma l’allargamento delle sanzioni anche a entità non americane potrebbe indurre chiunque a negare finanziamenti o ad acquistare alluminio altrove, timore all’origine del balzo del prezzo sui mercati internazionali. L’impero di Deripaska è globale, ed è sotto assedio. Le sanzioni, ha fatto sapere Rusal potrebbero costringere la compagnia a una serie di default tecnici su alcuni impegni, e risultare «materialmente avverse al business e alle prospettive del gruppo». Quotato a Hong Kong, il titolo della compagnia di Deripaska è crollato del 50%, mentre la holding En+ perdeva il 27,5% a Londra.
Per il governo russo, che stava riemergendo dalla recessione, questa crisi implicherà un nuovo impegno a sostegno dei gruppi colpiti, a carico delle banche di Stato. Nei prossimi giorni è dato per possibile un incontro tra Putin e gli imprenditori nella bufera, mentre il premier Dmitrij Medvedev ha ordinato al proprio governo di preparare le ritorsioni alle sanzioni Usa. Ma intanto la Borsa di Mosca ha reagito con il calo più grave dalla crisi ucraina del 2014: l’indice Moex, denominato in rubli, ha perso l’8,7%, l’Rts in dollari più dell’11%. In perdita, tra gli altri, anche i titoli di Sberbank o di Norilsk Nickel - compagnie non nell’elenco delle sanzioni - a riprova delle preoccupazioni per l’impatto sull’insieme dell’economia. Il rischio più grosso è la stabilità del rublo, rimessa in discussione con la moneta russa scesa a 60,2 sul dollaro e a 75 sull’euro, perdendo in entrambi i casi più del 3%. Come ha spiegato all’agenzia Bloomberg Kirill Tremasov, analista di Loko-Invest, «era da lungo tempo che non vedevamo una tale, coordinata ritirata di massa dagli assets russi».
Secondo indiscrezioni di stampa, i crolli odierni dei titoli sono stati causati da una ‘clausola’ riservata prevista dal dipartimento Usa delle Finanze, ovvero l’ordine agli investitori americani e occidentali di vendere i titoli relativi ai gruppi nel mirino delle sanzioni entro un mese: da qui la corsa alla vendita. Altre figure di spicco (e quindi relative imprese) finite sotto sanzioni sono Viktor Vekselberg e il suo Renova Group, l’oligarca Suleyman Kerimov che ha costruito un impero con il cloruro di potassio e Kirill Shamalov, che ha fatto fortuna dopo aver sposato la figlia di Putin. Il Cremlino ha definito “scandalose” le nuove sanzioni americane. “E’ una nuova storia, certamente, è piuttosto scandalosa dal punto di vista della legalità e delle violazioni, diciamo, di norme e di tutto il resto, per questo qui serve una accurata analisi”, ha dichiarato il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitri Peskov.
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