L’Isola di Pasqua, conosciuta anche come Rapa Nui, è immersa nell'Oceano Pacifico e si trova al largo delle coste del Cile. Il suo nome è dovuto al fatto che l’isola è stata scoperta il giorno di Pasqua del 1722 dall'esploratore Olandese Jacob Roggeveen.
Questa terra, data la sua posizione, è la più sperduta del mondo in quanto si trova a circa 3500 chilometri di distanza dalle coste del Cile e circa 2075 km ad est delle isole Pitcairn, immersa tra le celestiali acque dell’Oceano Pacifico.
Questo piccolo pezzo di terra emersa rappresenta uno dei più grandi enigmi dell’antropologia e dell’archeologia moderna.
Nonostante la posizione remota, la convinzione abituale degli antropologi è che poco prima del 1200 d.C., alcuni gruppi polinesiani abbiano navigato verso l’isola per stabilirsi lì.
Si ritiene che la popolazione sia cresciuta rapidamente, rimanendo fiorente per centinaia di anni, fino a raggiungere la ragguardevole cifra di 20 mila persone.
Secondo i ricercatori, la fertilità del terreno avrebbe garantito alla popolazione raccolti abbondanti, permettendo la nascita di una cultura molto ricca e concedendo loro il tempo di scolpire ed erigere i famosi busti di pietra detti Moai.
Secondo la teoria comunemente accettata, intorno al 1200, gli abitanti cominciarono a tagliare le foreste subtropicali dell’isola in maniera crescente, per la costruzione di canoe e il trasporto dei Moai. La deforestazione selvaggia distrusse la fauna selvatica naturale e compromise la fertilità della terra.
Innanzitutto, la presenza dei famosi ed enigmatici Moai, grandi busti antropomorfi scolpiti nella roccia. Sull’isola se ne contano ben 638. Nonostante le ricerche condotte negli ultimi anni, il loro scopo non è tuttora noto con certezza. Secondo la ricerca alternativa, i coloni polinesiani giunti sull’isola intorno a 1100 d.C. non hanno fabbricato i Moai ma li hanno trovati lì.
Secondo la leggenda, infatti, Rapa Nui sarebbe l’ultimo lembo di terra un tempo appartenuto al continente perduto di Mu, sede della prima civiltà umana sorta sul nostro pianeta circa 50 mila anni fa. Dunque, i Moai sarebbero le reliquie di una civiltà arcaica perduta tra le onde dell’Oceano Pacifico.
All’indomani del cataclisma globale avvenuto 12 mila anni fa, che avrebbe sprofondato il continente sul fondo del Pacifico, buona parte dei superstiti di Mu riparò fondando colonie sulle nuove terre emerse, mentre una piccola parte rimase su Rapa Nui.
Il suo aspetto remoto la rende un gioiello incontaminato, un luogo che fa molto gola ai turisti desiderosi di scoprire cosa si nasconde dietro quelli che si possono definire i veri e propri padroni di casa ovvero i moai, statue di pietra ricavate da un unico blocco di tufo vulcanico, alte anche fino a 23 metri il cui peso può raggiungere le 86 tonnellate.
Nell’immaginario collettivo viene identificata con le statue dei moai, enormi busti monolitici sparsi lungo l’intero territorio. Se ne contano ben 638. Nonostante le ricerche condotte negli ultimi anni il loro scopo non è tuttora noto con certezza. Secondo alcuni studi recenti, le statue rappresenterebbero capi tribù indigeni morti e, secondo la credenza popolare, avrebbero permesso ai vivi di prendere contatto con il mondo dei morti.
Alcune statue possiedono sulla testa un cilindro (pukao) ottenuto da un tipo di tufo di colore rossastro, interpretato come un copricapo oppure come l’acconciatura un tempo diffusa tra i maschi. I moai sono alti tra i 2,5 e i 10 metri. Ne esiste uno, incompleto, alto 21m. Quelli di 10 m pesano tra le 75 e le 86 tonnellate.
Una leggenda dell’Isola di Pasqua narra che dal cielo giunsero degli uomini uccello (Tangata manu) che potevano volare. Il loro capo si chiamava Makemake e, secondo la mitologia locale, era il creatore dell’umanità, il dio della fertilità e la divinità principale del culto dell’uomo uccello. La sua immagine è stata scolpita su alcune rocce presenti sull’isola. I colossi di pietra si muovevano grazie a una forza misteriosa che solo due sacerdoti erano in grado di controllare. Un giorno, però, i due sacerdoti scomparvero e da lì il lavoro di costruzione delle statue fu sospeso. E’ il motivo per cui una schiera di statue è rimasta incompiuta. Gli studiosi fanno coincidere questo momento con l’anno 1500.
Il territorio dell’isola è ricoperto da quattro vulcani, Poike, Rano Kau, Rano Raraku e Terevaka. Per questo motivo l’Isola di Pasqua è molto selvaggia e non si trovano molti animali, se non cavalli, pecore, mucche e maiali importati dalla terraferma. Il mare non è caratterizzato dalla barriera corallina come altre isole del Pacifico. Tuttavia, nelle sue acque vive una grande colonia di capodogli che possono essere osservati dai visitatori dell’isola. Per chi ama praticare trekking ed escursionismo è la meta ideale.
Verso la fine degli anni sessanta è stato ampliato l’aeroporto di Mataveri. Da allora il numero di turisti è aumentato, ma non è ancora una meta molto gettonata. Uno dei motivi è il costo di una vacanza sull’isola, che è piuttosto elevato. L’Isola di Pasqua può essere raggiunta durante tutto l’anno esclusivamente dal Cile. I voli decollano da Santiago del Cile (ogni tanto anche da Tahiti, in Polinesia) e la durata del volo si aggira intorno alle 5 ore. Chi decide di trascorrere una vacanza sull’Isola di Pasqua può scegliere tra diversi alberghi e resort che si collocano in un’ampia fascia di prezzi.
Il clima è caldo e umido in estate e mite in inverno. La temperatura media, che è piuttosto costante, è di 23 gradi da gennaio a marzo, con massime di 26-26 gradi che a volte oltrepassano i 30. In questo periodo ci sono 10 ore di sole al giorno. Da luglio a settembre ci sono 18 gradi, che possono scendere a 10 di minima. Le piogge, piuttosto abbondanti, cadono tutto l’anno soprattutto da aprile e maggio, con ondate di maltempo da giugno ad agosto.