lunedì 23 maggio 2016

Obama revoca l’embargo sulle armi contro il Vietnam




Esplora il significato del termine: L’annuncio ad Hanoi. L’obiettivo della Casa Bianca: arginare l’espansionismo della Cina. Ed entrare nella base navale di Cam Ranh. L'annuncio ad Hanoi. L'obiettivo della Casa Bianca: arginare l’espansionismo della Cina. Ed entrare nella base navale di Cam Ranh

Gli Stati Uniti cancellano totalmente l’embargo sulla fornitura di armi al Vietnam. Lo hanno annunciato i presidenti dei due Paesi, Barack Obama e Tran Dai Quang, in una conferenza stampa congiunta ad Hanoi. Il 23 maggio 2016, è dunque un giorno che resterà nella cronistoria delle relazioni diplomatiche tra i due grandi nemici degli anni Sessanta e Settanta.

Barack Obama cancella l’embargo sulla vendita di armi al Vietnam con una mossa che dà nuova spinta al «Pivot to Asia», il riorientamento degli interessi strategici di Washington verso il continente, avviato nel 2011 e che fa leva sul mega-accordo commerciale tra le economie del Pacifico, la Trans Pacific Partnership. Appena qualche giorno fa, la Casa Bianca ha annunciato l’alleggerimento dell’embargo economico nei confronti del Myanmar, dove domenica il segretario di Stato John Kerry ha incontrato Aung San Suu Kyi.

Con una svolta simbolica e sostanziale, a oltre 40 anni dalla fine di una delle guerre più controverse e laceranti per gli Stati Uniti, Obama ha chiuso uno degli ultimi strascichi della Guerra Fredda nel primo dei tre giorni di visita in Vietnam. Ripartirà mercoledì per il Giappone, dove parteciperà al G7 e dove, altra mossa simbolica, sarà il primo capo di Stato Usa a visitare Hiroshima.

Mai citata direttamente, Pechino è il convitato di pietra del viaggio di Obama. Nella conferenza stampa congiunta con il presidente vietnamita Tran Dai Quang, il capo di Stato Usa ha precisato che la rimozione dell’embargo non ha nulla a che fare con la Cina, ma ne ha indirettamente criticato l’aggressività nel Mar della Cina meridionale e ha affermato che ora il Vietnam «avrà accesso all’equipaggiamento di cui ha bisogno per difendersi».

Già nel 2014, gli Stati Uniti avevano alleggerimento il blocco alla vendita di armi ad Hanoi e da allora hanno fornito 46 milioni di dollari di assistenza militare. Il riavvicinamento è stato accelerato proprio dalla disputa che divide la Cina e gli altri Paesi della regione (Filippine, Brunei, Malesia, Taiwan e Vietnam) sulle acque territoriali, che Pechino reclama quasi interamente per sé, mettendo in campo la propria marina militare e costruendo isolotti artificiali.

Gli Stati Uniti si sono schierati al fianco dei Paesi minori e hanno già inviato le proprie navi da guerra nell’area, per sfidare apertamente le pretese cinesi e difendere la libertà di navigazione su rotte solcate ogni anno da 5mila miliardi di dollari di merci.

Negli ultimi vent’anni, da quando nel 1995 ha ristabilito le relazioni diplomatiche con gli Usa, il Vietnam ha seguito una politica estera multipolare, senza trascurare il suo arsenale. Hanoi compra il 90% delle armi dalla Russia, compresi i sottomarini classe Kilo. Il legame con Mosca risale alla guerra con gli americani. Nel Museo delle armi di Hanoi sono esposti un Mig e il primo carro armato che entrò nella vecchia Saigon, ora Ho Chi Minh. Adesso Obama prova a spezzare questo monopolio.

lunedì 16 maggio 2016

Asse trasversale anti-Brexit: «Biglietto senza ritorno verso la povertà»


Merkel-Cameron, Tusk-Cameron, e poi Schulz-Merkel, ancora Renzi-Cameron, Merkel-Juncker, ecc. Tutte le combinazioni tra i leader attuali dell'Ue si prestano a formare il puzzle confuso del Consiglio europeo su Brexit e migranti.  Due argomenti che dovevano restare separati, nelle intenzioni dei leader, ma che invece si sono pericolosamente intrecciati

Il risultato è una giornata intera di bilaterali tra capi di Stato e di governo, incontri tra gli sherpa, tutto nel retrobottega senza la plenaria che arriva solo a sera, dichiarazioni alla stampa e pizze ordinate per disperazione a una certa, quando si è capito che non si cenerà comodi al ristorante. Nei tweet da Bruxelles l'hashtag #Brexit viene sostituito con il più speranzoso #UkinEu, ma è dura lo stesso raggiungere l'intesa. Però quando Cameron ottiene quel pezzo di carta incassa il massimo sul punto più caldo del dibattito interno britannico: i migranti. Da ora in poi, per i prossimi sette anni, chi decide di immigrare in Gran Bretagna non avrà welfare. E poi altri punti.

La prima linea dei numeri due - ex e non – della vita politica britannica s'è schierata contro Brexit in un inatteso happening all’aeroporto di Stanstead ospiti di Michael O’Leary fondatore di Ryanair.

Il Cancelliere George Osborne affiancato dall’ex cancelliere ombra laburista Ed Balls, e dall’ex “vice leader” LibDem ed ex ministro del Business, Vince Cable. «Il fatto che siamo tutti e tre insieme contro la Brexit non è il segnale di una cospirazione – ha detto George Osborne – ma di un consenso e di una consapevolezza che vanno oltre ogni possibile dubbio. La Gran Bretagna starà peggio fuori dall’Ue, andarsene significa comperare un biglietto senza ritorno verso la povertà». Parole scandite dal numero uno del Tesoro di fianco al suo ex avversario – Ed Balls ha ora perso il seggio di deputato – uomo un tempo descritto dal premier David Cameron come «la persona più irritante della politica moderna».

I tre leader hanno sottoscritto la denuncia illustrata dal Cancelliere secondo il quale l’addio al mercato interno Ue costerà a Londra 200 miliardi in termini commerciali all’anno e altri 200miliardi di mancati investimenti anche in questo caso all’anno.

Un conto elevato che il premier David Cameron ritiene sia destinato a pesare prevalentemente sui più' poveri. Il capo del governo britannico in un・ulteriore mossa politica non ideologica, linea d'azione che sempre piu' contraddistingue questa campagna referendaria, ha scritto  un articolo sul Daily Mirror quotidiano popolare da sempre vicino al Labour party. «Sono premier da sei anni – ha scritto Cameron – e al di là di quella che può essere la vostra opinione sul mio operato ho visto quanto il libero commercio sia di beneficio per i lavoratori, quanto la manifattura sia sostenuta dalle intese che l’Ue ha firmato con il resto del mondo...Lasciare l’Europa equivale a un errore nazionale, un grande errore».

L’ex sindaco di Londra Boris Johnson, autore di un duro attacco all’Europa
Non la pensano così un terzo circa dei deputati Tory a Westeminster se è vero – la notizia non è ovviamente confermata – che 100 members of Parliament considerano di organizzare un voto di sfiducia contro il premier qualora il referendum confermi l’adesione all’Ue.

L’affondo anti Brexit è dunque sempre più trasversale e segue le polemiche del week end per la “scivolata” di Boris Johnson, divenuto leader  de facto  del variegato fronte che invoca il divorzio anglo-europeo. L’ex sindaco di Londra, lo ricordiamo, ha paragonato Hitler, o meglio le ambizioni hitleriane sull’Europa a quelle dell’Ue. Parole pronunciate con toni più sfumati di quelli considerati dagli oppositori a Brexit, ma imbarazzanti abbastanza per schiacciare Boris Johnson una volta di più sull’immagine piuttosto caricaturale di sè stesso.

Il confronto torna invece a dividere le imprese. La stragrande maggioranza resta favorevole all’adesione, ma 300 manager e imprenditori per lo più di Pmi hanno voluto far sentire il loro dissenso, schierandosi con Leave. «La burocrazia europea complica il business – hanno scritto in una lettera al Daily Telegraph – a tutte le imprese del Paese... (fuori dalla Ue,ndr) si creeranno posti di lavoro».

Versione opposta alla tesi prediletta dalla forze di governo e anche laburiste a conferma che lo scontro resta incerto nonostante cresca la percezione di un “sì” all’Ue in rafforzamento.

La maggiore parte dei sondaggi danno il fronte “Remain” avanti di qualche punto seppure entro il margine d’errore. Da qui al 23 giugno lo scontro si muoverà sul 10-12% di elettori ancora indecisi. I più, suggerisce la storia referendaria, sono destinati a schierarsi con la parte che suggerisce la proposta meno rischiosa, ovvero il mantenimento dello status quo.


martedì 10 maggio 2016

Panama papers, pubblicato l’archivio dei documenti riservati


Panama Papers è il nome dato agli 11,5 milioni di documenti emersi grazie a un’inchiesta giornalistica, la più grande fuga di notizie finanziarie della storia. L'inchiesta è stata svolta a livello internazionale da 378 giornalisti, appartenenti a testate di diversi Paesi, associate nel "The International Consortium of Investigative Journalists" (ICIJ). Per l'Italia, il lavoro è stato svolto in esclusiva da "l'Espresso". L'inchiesta " Panama Papers " riguarda lo studio legale Mossack e Fonseca di Panama, una delle più grandi "fabbriche" al mondo di società offshore. Il nome Panama Papers è stato scelto in riferimento ai "Pentagon Papers", i documenti che hanno messo a nudo le menzogne del segretario alla difesa di Nixon sulla guerra in Vietnam, pubblicati nel 1971 dal New York Times.

Il Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (Icij) ha deciso di rendere disponibile online gran parte dei documenti riservati che hanno portato all’inchiesta sui paradisi fiscali. Sul sito dell’Icij è possibile trovare i nomi di aziende e individui che si sono serviti di società di comodo per evadere le tasse.

Offshore, in gergo finanziario, significa "all'estero". Più nello specifico il termine indica paesi in cui si pagano tasse molto basse, a volte pari quasi a zero, e la proprietà di società e conti correnti è segreta. Questi stati sono spesso utilizzati da chi cerca di rendere irrintracciabile una parte o tutta la propria ricchezza. Per avere un'idea di quali sono i più utilizzati, può essere utile scorrere la lista degli Stati inseriti dal governo italiano nella cosiddetta black list.

Panama Papers; è la più grande fuga di notizie nella storia della finanza. Undici milioni e mezzo di file segreti su oltre 200mila società offshore. Create dallo studio Mossack Fonseca di Panama. Ecco gli affari riservati degli uomini di Putin, della famiglia Cameron, dei vertici comunisti cinesi. Insieme a star come Leo Messi e Jackie Chan.

Da dove arrivano questi documenti?
Una fonte anonima, un "whistleblower", è entrato in possesso di migliaia di documenti dello studio Mossack Fonseca: 2,6 terabyte di materiale. La fonte lo ha passato al quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung che, di fronte a una montagna di dati, si è rivolto ad ICIJ per condividere la ricerca e scoperchiarne il contenuto.

Che cos'è Mossack Fonseca?
E' uno studio legale fondato a Panama nel 1977 e specializzato nella creazione di società registrate nei paradisi fiscali. Lo studio, considerato uno dei cinque migliori al mondo nel suo settore, è stato fondato da due avvocati. Uno è Jurgen Mossack, figlio di un nazista delle Waffen SS, che dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale si trasferì a Panama. L'altro è Ramon Fonseca, panamense, che ha studiato alla London Schools of Economics e ha lavorato nella sede dell'Onu di Ginevra prima di fare ritorno in America Centrale. Lo studio Mossack Fonseca ha 40 uffici nel mondo e circa 500 dipendenti. Fino a qualche tempo fa Ramon Fonseca è stato uno dei consiglieri del presidente panamense Juan Carlos Varela. A inizio marzo lo studio è stato coinvolto nell'inchiesta per corruzione che i magistrati brasiliani stanno conducendo sulla Petrobras, l'azienda petrolifera controllata dal governo di Brasilia. Quando la notizia è emersa,  Ramon Fonseca si è dimesso dalla carica di presidente. Sull'inchiesta Panama Papers, lo studio Mossach Fonseca si è difeso spiegando che non è responsabile di quello che i suoi clienti fanno con le società che lo studio crea per loro.

Panama Papers, una fonte anonima e un anno di lavoro per svelare i segreti offshore. Oltre 300 giornalisti di tutto il mondo per analizzare un'immensa banca dati finanziaria. La stessa su cui ora indagano le autorità fiscali negli Stati Uniti e in Germania, tra società fiduciarie e conti bancari

Che cos'è l’ICIJ? E' un consorzio internazionale di giornalismo investigativo . Fondato a Washington nel 1997 dal giornalista americano Chuck Lewis, il network conta oggi 190 giornalisti di 65 Paesi. E' specializzato soprattutto in indagini su corruzione e crimini transnazionali. Il consorzio ha già pubblicato diversi lavori: l'ultimo dei quali, nel 2014, sul Lussemburgo. Intitolata Luxleaks, l'inchiesta svelò per la prima volta gli accordi riservati tra multinazionali e governo del Lussemburgo per ottenere risparmi fiscali. Un sistema che toglie denaro alle economie di diversi Paesi, regalandole invece a quella del Granducato. L’Icij è un'organizzazione non profit che basa il proprio finanziamento sulle donazioni. Alcuni dei finanziatori sono: Adessium Foundation, Open Society Foundations, The Sigrid Rausing Trust, the Fritt Ord Foundation, the Pulitzer Center on Crisis Reporting, The Ford Foundation, The David and Lucile Packard Foundation, Pew Charitable Trusts and Waterloo Foundation.

Chi è coinvolto?
L'inchiesta Panama Papers riguarda più di 214 mila società offshore collegate a persone residenti in oltre 200 Paesi. Il lavoro di indagine ha permesso di rivelare l'esistenza di società offshore riconducibili, direttamente o indirettamente, a 140 fra politici e uomini di Stato nel mondo. Fra questi, ci sono 12 attuali ed ex leader politici . Tra i più noti emersi finora: i primi ministri di Islanda e Pakistan, i presidenti di Ucraina e Azerbaigian, il re del Marocco e dell'Arabia Saudita, il presidente della Federazione russa, il premier del Regno Unito. Sono inoltre emersi i nomi di 550 banche che, attraverso lo studio legale panamense Mossack Fonseca, hanno creato più di 15 mila società offshore. Per l'Italia i nomi sono quelli di Ubi e Unicredit.

domenica 1 maggio 2016

Siria: Aleppo allo stremo. John Kerry chiede il cessate il fuoco


Sempre più drammatica la situazione ad Aleppo, in Siria. Gli attacchi aerei e i bombardamenti delle forze armate del regime siriano (che hanno interrotto la tregua) e le rappresaglie dei ribelli hanno colpito la città senza sosta nell’ultima settimana, senza fare distinzioni tra obiettivi civili e militari. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, dal 22 aprile a oggi le vittime civili sono più di 250, almeno quaranta sono bambini. L’esercito siriano estende per altre 24 ore la tregua a Damasco, mentre su Aleppo continuano a cadere le bombe.

Il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha spinto per il ripristino del cessate il fuoco nell'intero territorio siriano, dopo i bombardamenti che si sono susseguiti su Aleppo provocando centinaia di vittime negli ultimi giorni. Kerry si è intrattenuto al telefono con l'inviato speciale dell'Onu per la Siria, Staffan de Mistura, e con il coordinatore dell'opposizione siriana, Riad Hijab, ai quali ha detto "con chiarezza che la fine delle violenze ad Aleppo e il ritorno a una cessazione duratura delle ostilità erano la prima fra le priorità", riferisce una nota del Dipartimento di Stato Usa.

"Lavoriamo su iniziative precise per ridurre l'intensità dei combattimenti e per ridurre le tensioni e speriamo di ottenere presto progressi tangibili", ha aggiunto il portavoce del dipartimento di Stato, John Kirby, il quale ha annunciato che stasera e lunedi' Kerry sarà a Ginevra per incontrare de Mistura e i suoi omologhi, il saudita Adel al-Jubeir e il giordano Nasser Judeh. Washington intende rilanciare gli sforzi internazionali per il ripristino del cessate il fuoco introdotto con il sostegno della Russia, alleata del governo di Damasco, il 27 febbraio scorso in Siria, e a dispetto del quale il regime di Assad ha operato i raid aerei sulla città di Aleppo.

"Questi attacchi sono violazioni dirette della sospensione delle ostilità e devono essere fermati immediatamente", ha aggiunto Kirby.

La Russia non chiede al regime di Bashar al-Assad di fermare i raid aerei su quel che resta della seconda città della Siria, dove in nove giorni sono rimasti uccisi oltre 250 civili. Aleppo è inghiottita in un vortice di violenza: mancano acqua potabile e corrente elettrica. La scelta, deliberata, di prendere di mira ospedali e farmacie ha costretto i pochi medici sopravvissuti a lasciare la città.
Le immagini di macerie spingono il segretario di Stato statunitense, John Kerry, a volare a Ginevra per incontrare l’inviato dell’ Onu per la Siria, Staffan de Mistura. Kerry chiede alla Russia di prendere misure per mettere fine alle violazioni diffuse della tregua da parte del regime.

Un rapporto della Commissione Economica e Sociale per l’Asia Occidentale rivela che l’83,4% della popolazione siriana vive sotto la soglia di povertà.
Sono inoltre 12,1 milioni coloro che non hanno accesso a servizi igienici, smaltimento dei rifiuti e acqua potabile.

In Siria “la violenza è in forte aumento” sostiene l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, che denuncia il disprezzo per la vita dei civili da parte delle parti in conflitto.

La Russia non chiederà a Damasco di interrompere i raid aerei su Aleppo. Lo ha detto il ministero degli Esteri russo spiegando che fanno parte della lotta contro il terrorismo.

Le bombe continuano, quindi, a cadere sulla citta che è rimasta esclusa dalla tregua temporanea in vigore a Latakia, oltre che a Damasco e nel Ghouta orientale. Il cessate il fuoco è stato raggiunto dopo l’intervento di Onu, Stati Uniti e Russia che hanno fatto pressioni sulle parti in conflitto.
Nuovi raid aerei hanno preso di mira le zone che dal 2012 sono nelle mani dei ribelli nell’Est di Aleppo. La parte ovest è sotto il controllo del regime. Almeno sei le vittime, secondo quanto riferito dall’Organizzazione siriana per i diritti umani. Quella che una volta era la capitale economica della Siria è ridotta in macerie con decine di civili in fuga: “La situazione è intollerabile”, dicono.

Oltre 246 persone hanno perso la vita dal 22 aprile. Il conflitto in Siria, iniziato nel marzo del 2011, ha fatto 270mila vittime e milioni di sfollati.