lunedì 16 maggio 2016

Asse trasversale anti-Brexit: «Biglietto senza ritorno verso la povertà»


Merkel-Cameron, Tusk-Cameron, e poi Schulz-Merkel, ancora Renzi-Cameron, Merkel-Juncker, ecc. Tutte le combinazioni tra i leader attuali dell'Ue si prestano a formare il puzzle confuso del Consiglio europeo su Brexit e migranti.  Due argomenti che dovevano restare separati, nelle intenzioni dei leader, ma che invece si sono pericolosamente intrecciati

Il risultato è una giornata intera di bilaterali tra capi di Stato e di governo, incontri tra gli sherpa, tutto nel retrobottega senza la plenaria che arriva solo a sera, dichiarazioni alla stampa e pizze ordinate per disperazione a una certa, quando si è capito che non si cenerà comodi al ristorante. Nei tweet da Bruxelles l'hashtag #Brexit viene sostituito con il più speranzoso #UkinEu, ma è dura lo stesso raggiungere l'intesa. Però quando Cameron ottiene quel pezzo di carta incassa il massimo sul punto più caldo del dibattito interno britannico: i migranti. Da ora in poi, per i prossimi sette anni, chi decide di immigrare in Gran Bretagna non avrà welfare. E poi altri punti.

La prima linea dei numeri due - ex e non – della vita politica britannica s'è schierata contro Brexit in un inatteso happening all’aeroporto di Stanstead ospiti di Michael O’Leary fondatore di Ryanair.

Il Cancelliere George Osborne affiancato dall’ex cancelliere ombra laburista Ed Balls, e dall’ex “vice leader” LibDem ed ex ministro del Business, Vince Cable. «Il fatto che siamo tutti e tre insieme contro la Brexit non è il segnale di una cospirazione – ha detto George Osborne – ma di un consenso e di una consapevolezza che vanno oltre ogni possibile dubbio. La Gran Bretagna starà peggio fuori dall’Ue, andarsene significa comperare un biglietto senza ritorno verso la povertà». Parole scandite dal numero uno del Tesoro di fianco al suo ex avversario – Ed Balls ha ora perso il seggio di deputato – uomo un tempo descritto dal premier David Cameron come «la persona più irritante della politica moderna».

I tre leader hanno sottoscritto la denuncia illustrata dal Cancelliere secondo il quale l’addio al mercato interno Ue costerà a Londra 200 miliardi in termini commerciali all’anno e altri 200miliardi di mancati investimenti anche in questo caso all’anno.

Un conto elevato che il premier David Cameron ritiene sia destinato a pesare prevalentemente sui più' poveri. Il capo del governo britannico in un・ulteriore mossa politica non ideologica, linea d'azione che sempre piu' contraddistingue questa campagna referendaria, ha scritto  un articolo sul Daily Mirror quotidiano popolare da sempre vicino al Labour party. «Sono premier da sei anni – ha scritto Cameron – e al di là di quella che può essere la vostra opinione sul mio operato ho visto quanto il libero commercio sia di beneficio per i lavoratori, quanto la manifattura sia sostenuta dalle intese che l’Ue ha firmato con il resto del mondo...Lasciare l’Europa equivale a un errore nazionale, un grande errore».

L’ex sindaco di Londra Boris Johnson, autore di un duro attacco all’Europa
Non la pensano così un terzo circa dei deputati Tory a Westeminster se è vero – la notizia non è ovviamente confermata – che 100 members of Parliament considerano di organizzare un voto di sfiducia contro il premier qualora il referendum confermi l’adesione all’Ue.

L’affondo anti Brexit è dunque sempre più trasversale e segue le polemiche del week end per la “scivolata” di Boris Johnson, divenuto leader  de facto  del variegato fronte che invoca il divorzio anglo-europeo. L’ex sindaco di Londra, lo ricordiamo, ha paragonato Hitler, o meglio le ambizioni hitleriane sull’Europa a quelle dell’Ue. Parole pronunciate con toni più sfumati di quelli considerati dagli oppositori a Brexit, ma imbarazzanti abbastanza per schiacciare Boris Johnson una volta di più sull’immagine piuttosto caricaturale di sè stesso.

Il confronto torna invece a dividere le imprese. La stragrande maggioranza resta favorevole all’adesione, ma 300 manager e imprenditori per lo più di Pmi hanno voluto far sentire il loro dissenso, schierandosi con Leave. «La burocrazia europea complica il business – hanno scritto in una lettera al Daily Telegraph – a tutte le imprese del Paese... (fuori dalla Ue,ndr) si creeranno posti di lavoro».

Versione opposta alla tesi prediletta dalla forze di governo e anche laburiste a conferma che lo scontro resta incerto nonostante cresca la percezione di un “sì” all’Ue in rafforzamento.

La maggiore parte dei sondaggi danno il fronte “Remain” avanti di qualche punto seppure entro il margine d’errore. Da qui al 23 giugno lo scontro si muoverà sul 10-12% di elettori ancora indecisi. I più, suggerisce la storia referendaria, sono destinati a schierarsi con la parte che suggerisce la proposta meno rischiosa, ovvero il mantenimento dello status quo.


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