giovedì 16 agosto 2018

Il gene zombie difende gli elefanti dai tumori



I tumori si sviluppano a causa di mutazioni del DNA delle cellule, che ne causano una riproduzione incontrollata. Gli animali più grandi, i cui corpi contengono una quantità più elevata di cellule, dovrebbero quindi contrarre queste patologie con maggiore frequenza. In realtà, sembra che le dimensioni dell’organismo incidano sulle probabilità di contrarre il cancro solo all'interno dei membri della stessa specie. Questa differenza però perde di importanza quando si paragonano tra loro due esservi viventi diversi: una balena non ha più possibilità di sviluppare un tumore di un gatto.

Sembra anzi che le specie di taglia più grossa corrano un rischio inferiore di contrarre la malattia.

La ricerca scientifica ha, tuttavia, dimostrato che per la grande maggioranza dei mammiferi, le probabilità di morire di cancro variano tra l’uno e il dieci percento, a prescindere dalla loro dimensioni.

Questa apparente contraddizione prende il nome di paradosso di Peto ed è stata descritta per la prima volta negli anni ‘70 dall’epidemiologo inglese Richard Peto. Da allora, numerosi scienziati hanno cercato di risolverla, proponendo spiegazioni riguardanti il tasso metabolico dei grandi mammiferi, inferiore a quello degli animali più piccoli, o la probabilità che negli organismi più grandi i tumori necessitino di una maggiore quantità di tempo per diventare letali.

Il segreto che difende gli elefanti dai tumori è in un gene zombie, da tempo non più attivo in moltissimi altri mammiferi. Negli elefanti si è risvegliato per distruggere le cellule danneggiate. Il gene è stato identificato dai ricercatori delle università americane di Chicago e dello Utah, che hanno pubblicato la ricerca sulla rivista Cell Reports.

Il risultato è il frutto di una scoperta precedente degli stessi ricercatori, i quali tre anni fa avevano scoperto che negli elefanti sono presenti 20 copie di un gene chiamato p53, che è presente in una sola copia anche nell'uomo. Mentre studiavano p53 negli elefanti, i ricercatori guidati da Vincent Lynch, dell'università di Chicago, hanno individuato un gene chiamato Lif6, che da tempo non è attivo in molti mammiferi. E' stato visto che questo gene viene attivato da p53 per uccidere le cellule che hanno il Dna danneggiato e che possono provocare i tumori. La sua funzione consiste nel produrre una proteina che crea dei fori nelle centraline energetiche delle cellule, i mitocondri, causando la morte della cellula. In questo modo, ha rilevato Lynch, il gene "può prevenire i tumori".

Secondo Lynch questo gene è un "trucco dell'evoluzione" e sarebbe stato risvegliato negli antenati degli elefanti circa 25-30 milioni di anni fa, quando questi pachidermi hanno cominciato a evolversi da animali più piccoli grandi quanto le marmotte. "Gli animali di grandi dimensioni e longevi devono aver sviluppato meccanismi robusti per sopprimere o eliminare le cellule tumorali, in modo da poter raggiungere l'età adulta", ha detto Juan Manuel Vazquez, del Laboratorio di Lynch. Gli animali più grandi, infatti, hanno un numero molto maggiore di cellule e tendono a vivere più a lungo, rispetto agli animali più piccoli, ma questo significa anche più tempo e opportunità per accumulare mutazioni che causano il cancro.

Il genoma umano contiene una sola copia di p53, ma quello degli elefanti ne ha ben venti. Non si tratta però dell’unico gene in grado di combattere i tumori. Di recente, Juan Manuel Vazquez, un allievo di Lynch ha dimostrato che gli elefanti contengono anche LIF, una particella cromosomica non più attiva in moltissimi mammiferi, ma che nei pachidermi è “tornata in vita” circa 25 o 30 milioni di anni fa. LIF viene attivata da p53 e uccide le cellule il cui DNA è stato danneggiato creando una proteina che causa la perforazione dei mitocondri.






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