Gli oceani coprono il 71% del nostro pianeta, forniscono circa il 50% dell’ossigeno che respiriamo, assorbono approssimativamente il 26% dell’anidride carbonica generata dalle attività umane, sono fonte di cibo e sostanze nutritive e sono fondamentali nel controllo del clima.
Tappi al posto delle conchiglie, mozziconi di sigaretta come alghe, cotton fioc a simulare i legnetti di mare. Sulle spiagge di tutto il mondo è questo che si trova, ed è solo una minima parte dei rifiuti che galleggiano in superficie e ricoprono i fondali.
Allarme a cui risponde una mobilitazione che dalle coste africane a quelle asiatiche, passando per Europa, Americhe e Oceania vede scendere in campo migliaia di volontari per pulire i litorali del Pianeta. L'invito a darsi da fare arriva direttamente dalle Nazioni Unite: oltre 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici entrano ogni anno nei nostri oceani e uccidono centomila animali marini. "Se non cambiamo rotta, presto in mare potrebbe esserci più plastica che pesci. Dobbiamo lavorare individualmente e collettivamente per evitare questa tragedia", sottolinea il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres.
"La plastica soffoca corsi d'acqua, danneggia le comunità che dipendono dalla pesca e dal turismo, uccide tartarughe e uccelli, balene e delfini, si fa strada nelle zone più remote della Terra e lungo tutta la catena alimentare", avverte Guterres, che chiama ciascuno a "fare la propria parte" evitando la plastica monouso e dando una mano a ripulire.
La pulizia di spiagge è l'attività più usata ad ogni latitudine per celebrare la Giornata degli oceani. Le iniziative in programma sono centinaia, da Fortaleza in Brasile a Mayo in Irlanda, dalla spiaggia californiana di Santa Monica all'estuario portoghese del fiume Sado, dalle coste di sabbia dorata del Queensland, in Australia, al greco Pireo, dove si bonifica al tramonto. E ancora l'atollo Baa nelle Maldive, le Canarie e il Sudafrica.
In Italia l'Ufficio regionale Unesco per la scienza e la cultura in Europa, con sede a Venezia, ha organizzato un evento che vedrà i volontari impegnati a ripulire laguna e canali. Pescara, Reggio Calabria, Oristano e Palermo sono invece alcune delle città in cui nel weekend si puliranno i litorali insieme al Wwf, che con l'iniziativa "Spiagge Plastic Free" organizza appuntamenti in tutto il mese di giugno. Ma in spiaggia c'è solo una frazione del problema. Mentre la Ong Oceana lancia l'allarme sui rifiuti di plastica in acque profonde anche nel Mediterraneo, Legambiente con l'università di Siena dimostra in uno studio che la plastica galleggiante in mare fa da ricettacolo di sostanze tossiche. Contaminanti, come il mercurio, che rischiano di entrare nella catena alimentare.
Ed è per fermare questa grave situazione che l’ONU ha cercato di richiamare l’attenzione di cittadini e governi. «Uno degli aspetti più interessanti – ha spiegato Francesca Santoro, specialista di programma della Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco – è dato dal fatto che alla conferenza si formeranno dei partenariati. Quindi i paesi, rappresentati da oltre 40 capi di stato, il settore privato, le organizzazioni internazionali e le ONG si impegneranno a compiere delle azioni definendo tempistiche e risultati attesi ben precisi, attraverso impegni volontari. Alcuni partenariati sono nati in base all’area geografica, altri in relazione ad una tematica specifica». Questi progetti rientreranno nel quadro più generale degli obiettivi di sviluppo sostenibile, già approvati nel 2015 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, tra i quali al numero 14 trova posto proprio la conservazione e l’utilizzo sostenibile degli oceani, dei mari e delle risorse marine. «A luglio – prosegue l’esperta Unesco – gli stati dovranno presentare già il primo rapporto per dimostrare come stanno lavorando e proseguiranno con queste azioni di aggiornamento fino alla prossima conferenza che si terrà tra tre anni».
Secondo l’ONU circa l’80% dell’inquinamento marino deriva da attività svolte a terra. Nello specifico la mancanza di impianti di depurazione delle acque di scarico è ancora una minaccia per gli oceani, in particolare vicino agli insediamenti urbani molto grandi. Inoltre, la crescita della produzione e di conseguenza degli scarichi, aumenta il rischio di immissione di metalli pesanti e di altre sostanze pericolose. Anche la plastica resta un problema ed infatti rappresenta l’80% dei rifiuti. Ne entrano negli oceani più di 8 milioni di tonnellate all’anno, l’equivalente di un camion al minuto e più di 51 trilioni di particelle microplastiche, 500 volte più delle stelle nella nostra galassia, minacciano seriamente la fauna selvatica. I detriti marini infatti stanno danneggiando più di 800 specie e diventano ogni anno causa di morte per 1 milione di uccelli, 100.000 mammiferi marini, tartarughe e innumerevoli pesci.
Per questa ragione è nato anche in Italia Ocean Literacy, una rete già presente in altri paesi, che unisce ricercatori, tecnici, esperti, educatori e divulgatori ed ha lo scopo di creare collaborazioni a più livelli e di diffondere la consapevolezza dell’importanza sociale, economica e culturale del mare e degli oceani nelle scuole e più in generale tra i decisori, i cittadini e i rappresentati del settore privato. L’obiettivo è indurre a prendere delle decisioni responsabili quotidianamente e favorire così la salvaguardia e la conservazione. E se è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera, oggi si può iniziare partecipando a una delle tante iniziative organizzate in tutto il paese ad esempio da Lega Navale e CNR sulla costa romagnola, dall’Istituto di scienze Marine a Venezia, dal Centro-Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici in Salento, dall’European Research Institute a Torino o dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, l’Area Marina Protetta di Miramare e WWF a Trieste.
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