Il 10 febbraio, e solo dal 2004, il pensiero del Paese va alle migliaia di connazionali massacrati e gettati ancora vivi nelle foibe dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito tra il '43 e il '47. Si trattò di una pulizia politica ed etnica che riguardò non solo i nazisti e i fascisti, ma anche uomini di chiesa, comunisti. Il massacro più vasto a guerra finita, nel maggio del 1945, per costringere gli italiani a fuggire dalle province istriane, dalmate e della Venezia Giulia. Secondo le fonti più accreditate le vittime furono almeno 5000, ma diversi storici parlano di oltre diecimila. Centinaia di migliaia gli esuli.
I morti in questo genocidio, per molto tempo dimenticato sono le vittime delle Foibe, vittime della pulizia politica ed etnica compiuta dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia tra il 1943 e il 1945, una pulizia etnica mascherata come azione di guerra o vendetta e furono massacrati, spesso gettati ancora vivi nelle foibe, le cavità carsiche tipiche del territorio istriano.
Una storia che è stata dimenticata per anni dalla memoria collettiva, ma mai cancellata dalle menti di chi ha perso qualcuno e qualcosa di molto importante, ovvero tutto. Negli anni Novanta la politica interrompe quel silenzio e inizia a interessarsi di quella tragedia. Solo nel 2004 arrivò una legge, una norma che istituì il Giorno del ricordo per le vittime delle Foibe e dell’esodo.
“Nelle foibe morì una piccola parte di italiani. La maggioranza fu uccisa nei campi di concentramento in Jugoslavia”. A fare chiarezza in occasione del Giorno del Ricordo, istituito nel 2004 per commemorare, il 10 febbraio, le vittime italiane delle foibe titine, è stato Guido Franzinetti, docente di Storia dei territori europei all'università del Piemonte Orientale di Vercelli. Giusto ricordare le foibe, per lo studioso, ma il gran numero delle vittime italiane fu da tutt'altra parte. “Il che non consola nessuno”, ha aggiunto.
Ovviamente, si tratta di una data simbolica che fa riferimento al 1947, quando entrò in vigore il trattato di pace con cui le province di Pola, Fiume, Zara, parte delle zone di Gorizia e di Trieste, passarono alla Jugoslavia. All'indomani dell'armistizio si scatenò l'offensiva dei partigiani comunisti contro i nazisti e fascisti. Il massacro più vasto avvenne a guerra finita, nel maggio del 1945, per costringere gli italiani a fuggire dalle province istriane, dalmate e della Venezia Giulia.
La prima grande ondata di violenza esplose subito dopo la firma dell'armistizio dell’8 settembre 1943: iniziò un periodo di sbandamento, l’esercito italiano si dissolse e in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicarono contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturarono, massacrarono, affamarono e poi gettarono nelle foibe circa un migliaio di persone. Li consideravano 'nemici del popolo’. Il massacro si ripeté nella primavera del 1945, quando le truppe di Tito occuparono Trieste, Gorizia e l'Istria. Le vittime erano gli italiani: non solo fascisti, ma anche personaggi che potevano rappresentare una classe dirigente dell’antifascismo perché punti di riferimento dell’opinione pubblica non allineata al nuovo potere. Tito si accanì anche contro i partigiani, con i membri del Comitato di liberazione nazionale, contro tutti coloro che volevano difendere la comunità italiana.
Sarebbero stati d’impiccio al suo grande progetto politico di annessione di quei territori. A cadere dentro le foibe ci furono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini, ha raccontato a Mixer nel 1991 Graziano Udovisi, rappresentante della milizia italiana a Trieste e sopravvissuto a una foiba. Zara fu la prima città ad essere abbandonata dopo i bombardamenti angloamericani del '44. Poi toccò a Fiume, alla fine della guerra rimasta al di là di una linea tracciata su una carta geografica: la linea Morgan. Il 9 giugno 1945 Tito e il generale inglese Alexander divisero questa travagliata zona di confine in due parti: la provincia di Trieste e una parte di quella goriziana chiamata "Zona A" passarono sotto il controllo angloamericano; la "Zona B", di fatto tutta l'Istria, passò sotto il governo jugoslavo. Si trattò di un accordo temporaneo.
La decisione definitiva fu presa dalle nazioni vincitrici della guerra alla conferenza di pace di Parigi del 1947: l'Istria e la Venezia Giulia fino a Gorizia andarono alla Jugoslavia. Trieste e cinque piccoli comuni, la nuova Zona A, e una piccola parte dell'Istria settentrionale, la Zona B, costituirono un territorio libero sotto la sovranità internazionale. Il trattato di pace trasformò la decisione di singoli in un vero esodo di massa. Pola, Parenzo, Rovigno, Montoro, Albona e decine di piccoli centri della costa istriana furono abbandonati. Il 5 ottobre 1954 arrivò la definizione dei confini con il memorandum di Londra che sancì che l'Italia doveva assumere la diretta amministrazione di Trieste e della sua provincia, mentre la Jugoslavia quella della zona B. Il risultato fu lo svuotamento anche dell'Istria settentrionale. Restarono 5mila italiani, una minoranza etnica. Centinaia di migliaia di persone (il numero è incerto: c’è chi parla di 350mila, chi di 270mila) si trasformarono in esuli.
“Foibe”: una sola parola per indicare una serie di crimini diversi che sis volsero nell'autunno del 1943 e nella primavera del 1945, il vuoto di potere, post guerra, lasciò spazio a feroci ondate di violenza che colpirono a vario titolo italiani e non. I comunisti di Tito misero in atto arresti, esecuzioni, deportazioni nei campi di concentramento balcanici, portando alla morte brutale di migliaia di civili e all’esodo di altrettante persone, persino a guerra finita.
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