Ventisei anni dopo il massacro di Piazza Tienanmen in Cina è cambiato tutto, tranne una cosa: la paranoia del regime comunista. L’Impero di mezzo è più ricco, più moderno e più potente ma anche quest’anno a Pechino, e nel resto della Cina, nessuno potrà commemorare l’uccisione da parte dell’esercito di Liberazione del popolo di oltre 2 mila studenti.
Il 26 maggio il Global Times, giornale semi-ufficiale del partito comunista cinese, ha criticato la lettera con un durissimo editoriale dal titolo: “Forze straniere tentano di fomentare le generazioni post-80 e 90″ contro la Cina. Lo scopo era quello di attaccare le «giovani generazioni», che criticano il partito comunista solo perché «hanno subito il lavaggio del cervello in paesi stranieri occidentali», ma il risultato è stata un’enorme pubblicità al “nemico”. In questo modo, tutti sono venuti a conoscenza della lettera e per questo il ministero della Propaganda ha subito dato ordine a tutti «i siti internet di cancellare immediatamente il commento del Global Times».
La politica di riforme in Cina è in atto da ormai due decenni, un lasso di tempo abbastanza lungo per poter esaminare le riforme introdotte e tracciare il percorso dei cambiamenti politici del paese. Basato principalmente sulle interviste a funzionari del governo cinese, questo articolo cerca di mostrare cosa pensano i leader cinesi della riforma politica del paese e che cosa hanno imparato politicamente dagli ultimi venti anni di riforme. L'articolo cerca inoltre di concettualizzare la riforma politica di tipo cinese - il cosiddetto "consolidamento politico" - e di mostrare i progressi fatti e le difficoltà che si prospettano per una democratizzazione realizzata con un simile approccio.
'analisi del consolidamento politico si concentra su tre importanti elementi: separazione tra Governo e Imprese e tra Partito e Governo; istituzionalizzazione delle relazioni centro-periferia; democratizzazione delle amministrazioni rurali.
Tra il 15 aprile e il 4 giugno 1989 la protesta di Tienanmen portò in piazza studenti, intellettuali e operai della Repubblica Popolare Cinese per una serie di dimostrazioni contro il regime.
Simbolo della rivolta è considerato il Rivoltoso Sconosciuto, uno studente che, da solo e disarmato, si parò davanti a una colonna di carri armati per fermarli.
Era il 4 giugno 1989 quando i carri armati dell'Esercito di Liberazione Popolare cinese uccisero nella Piazza il cui nome rimane nella storia, centinaia di persone mettendo fine alle proteste degli studenti che reclamavano la democrazia. La protesta a piazza Tienanmen era iniziata un mese e mezzo prima, il 15 aprile. In quell'anno, quello della caduta del Muro, molti regimi comunisti furono rovesciati in Europa. Foto simbolo della protesta quella di uno studente che da solo e completamente disarmato, si para davanti a una colonna di carri armati per fermarli, il cosiddetto 'Rivoltoso sconosciuto'.
Il 4 giugno del 1989, i carri armati dell’esercito cinese sono entrati in piazza Tiananmen a Pechino, dove migliaia di studenti erano accampati da un mese per protestare contro il regime. Ventisei anni dopo, ancora non si conosce il numero ufficiale dei morti.
La strage di piazza Tiananmen del 4 giugno 1989”, racconta Standpoint in un resoconto degli eventi, “è ancora oggi il fatto più macabro e violento nella storia della Repubblica popolare cinese. Oggi, in Cina, la semplice menzione della strage è sufficiente per essere arrestati e incarcerati. Più che un’ombra del passato, i fatti di piazza Tiananmen sono un incubo che aleggia per il paese”.
Secondo Jeffrey Wasserstrom su The Nation, però, le rivolte del 1989 ebbero un ruolo cruciale nel convincere il regime che senza un’apertura sul fronte delle riforme economiche, alla Cina sarebbe toccato lo stesso destino delle repubbliche sovietiche. “I governanti cinesi hanno combinato la rigidità mostrata in piazza Tiananmen con una sorprendente flessibilità su altri fronti. Per ridurre al minimo il rischio di altre rivolte, il partito ha incoraggiato la nascita del consumismo, rinunciato alla maniacale organizzazione della vita universitaria (oggi gli studenti sono molto più liberi dei loro predecessori) e tentato di evitare nuovi exploit nazionalistici. Inoltre, il regime ha cominciato a trattare le proteste in modo diverso, usando severità e pugno di ferro verso tentativi di rivolta più grandi e bene organizzati, ma mostrando maggiore tolleranza per piccole dimostrazioni locali”.
“Per quanto tempo ancora, però”, si chiede Wasserstrom, “il regime riuscirà a far sì che le piccole manifestazioni di scontento locali diventino una valanga in grado di minacciare il potere?”.
Quest’anno il partito comunista ha toccato livelli di repressione senza precedenti, arrivando anche a censurare se stesso. Il 20 maggio, infatti, uno studente cinese che frequenta l’università della Georgia, Gu Yi, insieme a dieci compagni di diverse università americane e australiane, ha diffuso sui social media una lettera aperta per raccontare che cosa è successo davvero il 4 giugno 1989 e per farlo sapere anche «ai nostri colleghi che studiano in Cina» e che non possono conoscere «questa parte della nostra storia».
Yang Tongyan (54 anni), scrittore e storico, è stato in carcere dal 1990 al 2000 per «azioni controrivoluzionarie», cioè essersi opposto ai carri armati. Diventato attivista per i diritti umani, è stato incarcerato di nuovo nel 2006: dovrebbe uscire nel 2018. Xie Changfa (64 anni) ha passato due anni in campi di rieducazione attraverso il lavoro per aver parlato in diversi licei dell’Hunan a favore degli studenti nel 1989. Uscito, si è dedicato a promuovere la democrazia in Cina. Nel 2008 è stato arrestato di nuovo nell’ambito dell’operazione “Sicurezza Olimpiadi” e condannato per aver cercato di «sovvertire il potere dello Stato»: dovrebbe essere liberato nel 2022.
Liu Xiaobo (60 anni), vincitore del premio Nobel per la pace nel 2010, ha passato 18 mesi in carcere per il ruolo giocato nel movimento studentesco. Fondatore del movimento pro democrazia “Charta ’08”, è stato condannato il 25 dicembre 2009 per aver «incitato a sovvertire il potere dello Stato»: dovrebbe uscire nel dicembre del 2020. Liu Xianbin ha passato 30 mesi in carcere per aver partecipato alla protesta di piazza Tienanmen. Uscito di prigione, si è dedicato a promuovere i diritti umani. Per questo è stato di nuovo imprigionato dal 1999 al 2009 e condannato nuovamente nel 2011 per «aver incitato alla sovversione del potere dello Stato»: dovrebbe tornare libero nel 2021.
Chen Wei (arrestato nel 1989 e liberato nel 1991) è stato condannato di nuovo nel 2011 a 9 anni di carcere per aver pubblicato quattro articoli online sui diritti umani; Chen Xi, dopo i tre anni di carcere per essere sceso in piazza con gli studenti, è stato di nuovo arrestato e condannato nel 2011 ad altri 10 anni di carcere; Zhu Yufu, arrestato perché si era espresso a favore degli studenti nella città di Hangzhou nel 1989, è stato condannato nel 2012 a sette anni di prigione per essersi speso per la democrazia; Li Bifeng, dopo cinque anni di carcere per «propaganda controrivoluzionaria», è stato condannato di nuovo a 10 anni nel 2012. Per aver difeso i diritti umani, Zhang Lin è stato condannato nel 2014 a 42 mesi di carcere, Zhao Changqing a 30 mesi. La lista sarebbe ancora molto lunga, ma vale la pena ricordare solo gli attivisti che si trovano attualmente sotto processo per aver commemorato l’anno scorso in Cina il 25esimo anniversario di piazza Tienanmen: Gao Yu, Sheng Guan, Huang Fangmei, Jia Lingmin, Liu Diwei, Yu Shiwen, Pu Zhiqiang, Tang Jingling, Wang Qingying, Yuan Xinting, Jiang Lijun e Zhang Kun.
Delle oltre 1.600 persone arrestate nel 1989 per «crimini controrivoluzionari», solo una è ritenuta essere ancora in carcere: Miao Deshun. Operaio di Pechino, è stato denunciato per aver lanciato un cestino contro un carro armato in fiamme. Condannato a morte, la pena è stata sospesa e commutata in ergastolo. Grazie a un successivo sconto, dovrebbe uscire il 15 settembre 2018, dopo 29 anni di prigione. Nessuno sa se sia ancora vivo. L’ultima persona che ha avuto sue notizie, un suo ex compagno di cella, ha dichiarato che dovrebbe essere stato trasferito nel reparto psichiatrico della prigione di Yanqing, costretto ad assumere psicofarmaci. «Non ha mai voluto ammettere di aver sbagliato, non pensava di dover essere rieducato. Le autorità lo trattavano come se fosse pazzo».