domenica 23 febbraio 2020

Voto storico in Irlanda



Venti di rivoluzione in Irlanda, secondo gli exit poll delle elezioni anticipate di ieri. La sinistra nazionalista del Sinn Fein, paladina dei sogni di riunificazione con l'Ulster, alimentati anche dai possibili contraccolpi della Brexit sul grande vicino britannico, è per la prima volta in corsa per il traguardo di primo partito della Repubblica da un secolo: e, anche se la maggioranza assoluta resta fuori portata e non potrà andare al governo, appare in grado di condizionare l'agenda futura del Paese.

Lo scrutinio è iniziato stamani, procede a rilento e si concluderà non prima di lunedì, ma gli exit diffusi dalla tv pubblica Rte indicano un testa a testa all'ultima scheda. Con il Sinn Fein di Mary Lou McDonald - la leader 50enne subentrata a Gerry Adams e protagonista del cambio generazionale che ha portato quello che fu il braccio politico della guerriglia dell'Ira da forza di riferimento della trincea repubblicana nel solo Ulster a partito competitivo pure a Dublino - che avanza al 22,3%. E i due partitoni filo-Ue di centro-destra che da sempre si contendono il potere nell'isola, il Fine Gael del premier uscente Leo Varadkar (Ppe), il più giovane nella storia irlandese, oltre che il primo gay dichiarato e figlio di padre immigrato, e il Fianna Fail di Micheal Martin (liberali), rispettivamente al 22,4 e al 22,2%.

Dato il margine di errore, si tratta di una parità virtuale che i risultati reali potrebbero far oscillare. Mentre resta da decidere l'assegnazione dei seggi secondo un complicato sistema proporzionale trasferibile (con indicazione delle seconde e terze preferenze) destinato alla fine a lasciare comunque spazio a una coalizione fra Fianna Fail e Fine Gael (che in campagna elettorale hanno escluso accordi con il partito della McDonald) o un governo retto dalla stampella di gruppi minori come i Verdi e i Laburisti.

Ma il Sinn Fein (in gaelico Noi Stessi), pur avendo presentato solo 42 candidati a fronte degli 80 seggi necessari per la maggioranza assoluta, sarà comunque il vincitore morale: ovvero, la risposta di una parte non piccola d'irlandesi sia alla sfida della Brexit, sia soprattutto ai problemi sociali. Un partito la cui ascesa rompe un tabù sull'isola verde, quello dei vecchi legami con la disciolta Ira e la lotta armata durante la sanguinosa stagione dei 'troubles', a oltre 20 anni dall'accordo di pace del Venerdì santo. E mette quanto meno sul tavolo del confronto una piattaforma radicale che invoca un referendum sulla riunificazione entro 5 anni, problematico e ad alto rischio di conflitto, ma meno aleatorio del passato sullo sfondo dei potenziali effetti sull'Irlanda del Nord del divorzio del Regno Unito dall'Ue; nonché un programma economico e sui diritti civili di sinistra-sinistra, ispirato agli spagnoli di Podemos o a Jeremy Corbyn su dossier quali la spesa pubblica, la sanità, l'edilizia popolare.

Nuova lega anseatica coalizione anti brexit



La Lega anseatica (nota come Hansa, termine germanico usato nel senso di “raggruppamento”) fu un’alleanza commerciale fondata nel XII secolo (tardo Medioevo), tra mercanti dell’Europa settentrionale.

L’alleanza aveva sedi in numerose città che si affacciavano sul mare del Nord e sul mar Baltico. Ne facevano parte Lubecca, Colonia, Brema e Amburgo in Germania; Stettino e Danzica in Polonia; Stoccolma e Visby in Svezia; Riga, Tallinn e Tartu in Lettonia ed Estonia; Novgorod in Russia e molte altre città. La sede principale dell’Hansa fu Lubecca.

Grazie alle navi appartenenti ai mercanti dell’Hansa, un’infinità di prodotti di diversa provenienza raggiungeva tutte le città dell’alleanza, originando enormi profitti commerciali. Nelle città anseatiche questa ricchezza favorì inoltre lo sviluppo di fiorenti attività artigianali.

Un nuovo soggetto politico si aggira per l’Europa da quasi due anni, nato dalle ceneri di Brexit e desideroso di far sentire forte la propria voce. È la cosiddetta Nuova lega anseatica, una coalizione tra Olanda, Danimarca, Finlandia, Svezia, Lituania, Lettonia, Estonia e Irlanda che - ispirandosi ai fasti dell’alleanza tra città dell’Europa settentrionale e del Baltico che dominò il commercio tra il tardo Medio Evo e il XVI secolo – punta a difendere gli interessi, anche commerciali, dei suoi membri. E a improntare le riforme dell’Eurozona, come suggerisce il logo: uno stemma medievale dove, insieme alle bandiere, compare il simbolo dell’euro.

Promotore del progetto l’Olanda, chiare sin dal documento costitutivo – una lettera dei ministri delle Finanze del febbraio 2018 - le intenzioni: richiamare l’Eurozona prima di tutto al rispetto delle regole di bilancio e spingere perché si concentri sul completamento delle riforme già avviate (dall’unione bancaria al mercato unico) piuttosto che su un ulteriore trasferimento di competenze.

In questa presa di posizione, come sottolinea Greg Lewicki, PhD e autore per il Polish Economic Institute dello studio “Hansa 2.0. Un ritorno all’Età dell’oro del commercio?”, c’è prima di tutto un messaggio alla Francia di Macron «che cerca di attuare una fuga in avanti, allo scopo di contrapporre successi internazionali a una grave instabilità interna, evidenziata dalla protesta dei Gilets gialli. Di qui l’idea di un budget separato per la Francia e gli altri Paesi dell’Eurozona». Non sorprende perciò il fatto che proprio con Parigi si siano già verificati contrasti vivaci, con il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire che, ricevendo nel novembre scorso il suo omologo olandese Wopke Hoekstra, definì la Lega anseatica 2.0 un «club chiuso» che minacciava l’unità europea.

Diverso il rapporto con la Germania, più vicina al conservatorismo rigorista in materia di conti pubblici di questi Paesi e per la quale, come sottolinea ancora Lewicki, l’alleanza è «un utile strumento per controbilanciare le idee francesi che non piacciono alle élite tedesche. Anche se nessuno probabilmente lo ammetterebbe ufficialmente».

Illustrando le relazioni della Nuova lega anseatica con Francia e Germania, un’altra considerazione si impone. Nelle prese di posizione di questi Paesi ci sono i timori innescati dalla grave crisi del debito che l’Europa ha dovuto affrontare, ma il primo motore appare senza dubbio Brexit, con la perdita di un alleato chiave e campione del liberismo come la Gran Bretagna. «È fondamentale notare – evidenzia Lewicki – che, nei negoziati su questioni economiche, il sistema europeo funzionava come uno spinner, un meccanismo imperniato su tre poli rappresentati da Francia, Germania e Regno Unito. Ma il Regno Unito è quasi uscito. Perciò l’Olanda e i suoi alleati vogliono presentarsi come l’equivalente funzionale di Londra, un gruppo con obiettivi ben definiti in grado di bilanciare, collettivamente, l’approccio franco-tedesco».

La Nuova lega anseatica finirà dunque per indebolire il progetto europeo, come denunciano i francesi? Per Greg Lewicki è il contrario: «Credo che senza idee come quelle di questi Paesi siamo condannati. In passato la diversità all’interno di una stessa civiltà era un vantaggio, ma oggi la tendenza è opposta: la diversità politica significa con tutta probabilità confini e i confini significano che l’impatto a livello globale viene limitato. La Lega anseatica ci dà la vaga speranza che l’Europa un giorno sarà capace di competere economicamente a livello globale».

La Nuova lega anseatica è una delle tante manifestazioni di quella che lo studio del Polish Economic Institute definisce la “nuova medievalizzazione dell’Europa”, fondata su «strutture a più livelli e multipolari, le corporazioni, e altre reti internazionali che oltrepassano i confini». «Come una volta una miriade di gilde e associazioni prosperavano sotto le insegne della Cristianità – conclude Lewicki – oggi, sotto la bandiera dell’Unione europea, vediamo l’emergere di numerose iniziative locali e finalizzate all’obiettivo , come la Nuova lega anseatica o l’Iniziativa dei Tre Mari (l’unione di 12 Paesi Ue per contrastare la minaccia russa lanciata nel 2015, ndr)».

Ma ciò che li accomuna è chiaro: sono i falchi fiscali d’Europa. Liberisti fino al midollo. Araldi del pari in bilancio. Nemici giurati dell’interventismo e del gigantismo statale. Contrari a stanziare soldi dei propri contribuenti per soccorrere Stati membri in difficoltà. Basti ricordare che nel 2011 la Finlandia chiese l’Acropoli e le isole egee a titolo di garanzia per sottrarre la Grecia alla bancarotta. Aggiunge al tutto una punta d’ironia l’adesione al club dell’Irlanda, uscita nel 2013 proprio da tre anni di programma di salvataggio.

Per sincerarsi degli orientamenti ideologici è sufficiente scorrere uno dei documenti prodotti di recente: «La prima linea di difesa dovrà sempre essere al livello nazionale, sotto forma di politiche fiscali prudenti nel rispetto del Patto di stabilità e crescita e di decise riforme strutturali che rafforzino l’economia in generale e le finanze pubbliche.

La coalizione possiede un preciso sostrato geopolitico. In formula: la nuova lega anseatica è una reazione all’addio del Regno Unito, un ostacolo ai piani della Francia e uno strumento utile alla Germania. Scomponiamo i tre fattori.

Il Brexit sta rimuovendo uno dei vertici del triangolo Berlino-Parigi-Londra attorno al quale si erano adagiati negli ultimi decenni i membri più piccoli dell’Ue, in particolare quelli settentrionali. Primi fra tutti i l’Olanda, centro geometrico di questa figura oggi sbilanciata.

L’Aia, per esempio, trovava conveniente mandare avanti Londra per chiedere un maggiore coinvolgimento decisionale dei parlamenti nazionali, una riduzione dei benefit per gli immigrati e un alleggerimento della burocrazia per le imprese.

Il bersaglio principale dei neoanseatici è Parigi. Più precisamente, un’Europa trainata da francesi e tedeschi. Ad Aquisgrana, Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno voluto rinnovare il trattato dell’Eliseo per nascondere le reciproche debolezze dietro un’artificiosa unità d’intenti sull’Ue. Una sceneggiata. Ma che ha comunque adirato gli otto paesi, secondo i quali la Commissione europea ha esternalizzato il proprio ruolo di iniziativa a Francia e Germania.

Comprensibilmente, nessuno vuol vedersi recapitare decisioni già concordate in altre stanze. In particolare quelle avanzate dai transalpini, sempre ammantate di luccicanti ambizioni – vedi il ministro dell’Economia e delle Finanze Bruno Le Maire che vorrebbe fare un nouvel empire dell’Europa, con la Grande nation quale ovvia guida spirituale.

Così, la coalizione nordeuropea ha speso il 2018 a sabotare la proposta di Parigi di dotare l’Eurozona di un ministro delle Finanze e di un bilancio separato, da impiegare anche per aggiustare gli squilibri degli Stati che adottano la valuta comune. Finendo per farla deragliare del tutto: del ministro neanche l’ombra, il budget sarà una voce di quello generale dell’Ue e il capo delle Finanze olandesi Wopke Hoekstra ha fatto rimuovere dopo ore di estenuanti trattative con Le Maire ogni riferimento all’uso del bilancio a scopi di stabilizzazione, troppo in odore di pietismo mediterraneo.

La nuova lega anseatica si oppone ai progetti francesi di aumentare l’integrazione nell’Eurozona anche perché riconosce l’intento di Parigi di spostare più a sud-ovest, ossia verso di sé, il baricentro decisionale dell’Ue, ora coincidente con il cuore dello spazio germanico. Dando una veste geopolitica alla moneta comune, l’Esagono avrebbe potuto ergersi a campione dei membri mediterranei, Italia compresa, le cui casse hanno più bisogno di respirare. Aggiustando così a proprio favore gli sbilanciati rapporti di forza con la Germania.

Come evidente nel caso dell’Irlanda in cerca di alleati contro la tassa digitale che minaccia l’esodo delle tante multinazionali extraeuropee stanziate nell’isola. O ancora nella strenua opposizione alla riforma delle regole della competitività e della concorrenza avanzate, di nuovo, da francesi e tedeschi per creare dei campioni europei, cioè imprese dotate della taglia e della mentalità imprenditoriale per resistere ai concorrenti cinesi e americani.

Logico che i paesi piccoli siano contrari, poiché più hanno da perdere da un rilassamento delle regole sul monopolio – di cui non a caso è stata finora protettrice una commissaria danese, Margrethe Vestager.

Non s’intravedono molte concrete politiche comunitarie su cui questi Stati membri possano convergere con un approccio costruttivo. Sembra semmai accomunarli un orientamento ancora molto generico sul mantenere leggera l’Ue, sulla difesa della mano invisibile dell’economia dalle ingerenze delle burocrazie centrali e sull’approfondimento dei flussi commerciali (tutti intendono sviluppare digitalizzazione, mercato unico dei capitali, accordi di libero scambio).

Questo scenario è sempre presente nei piani d’emergenza tedeschi poiché risponde all’imperativo strategico, costante nella storia dei popoli germanici, di circondarsi di un’area in cui commerciare il surplus produttivo della nazione, pena il tracollo economico. Contrastare un simile sviluppo è prioritario per gli Stati Uniti, che da cento e due anni intervengono in Europa per scongiurare l’espansionismo dello spazio germanico o la sua conquista da parte di terzi.



sabato 3 agosto 2019

Groenlandia: "12 mld di tonnellate di ghiaccio sciolte"







A mostrare le drammatiche immagini la giornalista scientifica Laurie Garrett con un video postato su Twitter. "Le immagini sotto il ponte verso Kangerlussiauq in Groenlandia - twitta, mostrando l'effetto del rialzo delle temperature -, dove oggi ci sono 22 ° C e i funzionari danesi sostengono che ieri 12 miliardi di tonnellate di ghiaccio si sono sciolte in 24 ore".

Perdita record di ghiaccio, 10 miliardi di tonnellate in un giorno, per le temperature torride.
L'ondata di caldo eccezionale che ha investito il Nord Europa non ha risparmiato nemmeno la Groenlandia, accelerando lo scioglimento del ghiaccio nella più grande isola del mondo, in piena zona artica: ben dieci miliardi di tonnellate si sono disperse nell'oceano in un solo giorno. L'allarme è stato lanciato dall'Istituto Meteorologico della Danimarca (di cui la Groenlandia è territorio semi-autonomo). 

Il picco dello scioglimento dei ghiacciai si è verificato mercoledì, e in tutto luglio si parla di 197 miliardi di tonnellate: un miliardo di tonnellate, per avere un termine di paragone, corrisponde al contenuto d'acqua di 400mila piscine olimpioniche.L'ondata di caldo eccezionale che ha investito il Nord Europa non ha risparmiato nemmeno la Groenlandia, accelerando lo scioglimento del ghiaccio nella più grande isola del mondo, in piena zona artica: ben dieci miliardi di tonnellate si sono disperse nell'oceano in un solo giorno. L'allarme è stato lanciato dall'Istituto Meteorologico della Danimarca (di cui la Groenlandia è territorio semi-autonomo). Il picco dello scioglimento dei ghiacciai si è verificato mercoledì, e in tutto luglio si parla di 197 miliardi di tonnellate: un miliardo di tonnellate, per avere un termine di paragone, corrisponde al contenuto d'acqua di 400mila piscine olimpioniche. E le previsioni a lungo termine non promettono nulla di buono: "Il caldo e il clima soleggiato in Groenlandia è destinato a persistere, quindi lo scioglimento dei ghiacci proseguirà", ha rilevato la climatologa Ruth Mottram, che lavora per l'istituto danese.

martedì 30 aprile 2019

Giappone finisce un'era Akihito lascia il trono






L'imperatore Akihito ha abdicato. E' il primo monarca giapponese a compiere questo gesto negli ultimi due secoli. Il principe ereditario Naruhito ascenderà al trono mercoledì, dando il via ad una nuova era, Reiwa, la 248esima nella storia Imperiale, che significa 'Ordine, Armonia e Pace'. Nel suo ultimo discorso, l'85enne ha augurato "al Giappone e al mondo pace e prosperità". E si è detto "grato per il popolo che mi ha accettato come simbolo e mi ha sostenuto".


La cerimonia è avvenuta secondo regole fissate dalla Costituzione e la funzione 'Taiirei-Seiden-no-gi' (il tradizionale rituale di abdicazione di sua maestà l'imperatore) si è svolta nella sala di Stato del palazzo imperiale, nel centro di Tokyo. L'imperatore Akihito, vestito con abiti tradizionali, ha comunicato il suo ritiro agli antenati, rinunciando al trono dopo un regno durato 30 anni. E' la prima abdicazione del Giappone da quando l'imperatore Kokaku lasciò il trono nel 1817.

Circa 300 persone, tra cui il primo ministro Shinzo Abe e i suoi ministri, alla cerimonia. Mercoledì la seconda cerimonia in cui il principe ereditario Naruhito (59 anni), il figlio maggiore di Akihito, salirà al trono ed erediterà le tradizionali insegne come la spada sacra e i gioielli, come prova della successione.

Il popolo giapponese avrà la possibilità di incontrare il nuovo imperatore, sua moglie, l'imperatrice Masako (55 anni) e altri membri della famiglia reale il 4 maggio, quando si affacceranno sul balcone del palazzo imperiale, ha detto l'Agenzia della casa reale. L'imperatore Akihito e l'imperatrice Michiko, che diventeranno imperatori emeriti e imperatrice emerita rispettivamente in seguito all'abdicazione, non sono tenuti a partecipare all'evento.

Per il Giappone, l'ascesa di Naruhito significa l'inizio di una nuova era e un mese prima della successione, il governo ha annunciato che si sarebbe chiamata "Reiwa". La parola è composta da due caratteri kanji giapponesi - "rei" significa "ordine", "comando" o "buono" mentre "wa" significa "armonia".

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e sua moglie Melania si recheranno in Giappone il prossimo mese come primi ospiti dello stato del Giappone dopo l'intronizzazione. Più avanti, il governo inviterà anche ospiti provenienti da almeno 195 Paesi per partecipare ad eventi che celebrano l'ascesa di Naruhito.

Akihito divenne imperatore l'8 gennaio 1989 all'età di 55 anni, in seguito alla morte del padre, l'imperatore Hirohito, nel cui nome il Giappone combatté e perse la Seconda guerra mondiale. Nell'agosto 2016, in un raro videomessaggio, il sovrano aveva annunciato la sua intenzione di dimettersi, citando come motivazione il fatto che la sua età avanzata e la sua salute fragile avrebbero potuto impedirgli di adempiere ai suoi doveri ufficiali come simbolo dello stato. Poiché l'imperatore non ha alcun potere politico, non può decidere direttamente l'abdicazione. Così, nel giugno 2017, il parlamento giapponese aveva promulgato una legge speciale permettendogli di abdicare.

Durante il regno di Akihito, il Giappone ha subito diverse calamità naturali e il peggior disastro nucleare del mondo dall'incidente di Chernobyl nel 1986. Nel 1995, un terremoto di magnitudo 7,3 scosse la principale città occidentale di Kobe, causando la morte di oltre 6.400 persone. Nel 2011, il nord-est del Giappone è stato colpito da un terremoto di magnitudo 9 che ha causato uno tsunami, in cui sono morte circa 18.500 persone, e una tripla fusione alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi.

Nel corso di un evento governativo a febbraio per celebrare il trentesimo anniversario del suo regno, l'imperatore ha ricordato con emozione il sostegno delle persone intervenute per aiutare coloro che si trovavano nella zone colpite da disastri naturali. "In tutta la nazione, le persone hanno condiviso il dolore di quelle comunità come se fossero le loro e si sono schierate con i loro concittadini in vari modi: questi sono tra i ricordi più indimenticabili del mio regno", ha detto. Akihito ha anche espresso apprezzamento per il tanto necessario sostegno fornito dalla comunità internazionale e dalle organizzazioni globali in seguito a tali disastri. "Innumerevoli Paesi, organizzazioni internazionali e regioni ci hanno dato la loro gentile e cortese assistenza - ha detto l'imperatore - , a queste persone offro la mia più profonda gratitudine".

 Il popolo giapponese avrà la possibilità di incontrare il nuovo imperatore Naruhito, sua moglie, l'imperatrice Masako (55 anni) e altri membri della famiglia reale il 4 maggio, quando si affacceranno sul balcone del palazzo imperiale. L'imperatore Akihito e l'imperatrice Michiko, che diventeranno imperatori emeriti e imperatrice emerita rispettivamente in seguito  all'abdicazione, non sono tenuti a partecipare all'evento. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e sua moglie Melania si recheranno in Giappone il prossimo mese come primi ospiti dello stato del Giappone dopo l'intronizzazione. Più avanti, il governo inviterà  anche ospiti provenienti da almeno 195 paesi per partecipare ad eventi che celebrano l'ascesa di Naruhito.

L'inizio di una nuova era Protetta da un imponente apparato di sicurezza, che vede dispiegati migliaia di poliziotti, in particolare in seguito al dibattito connesso al rischio terrorismo dopo la strage dello Sri Lanka costata la vita anche a un cittadino nipponico, Tokyo ha assistito così alla prima abdicazione di un imperatore in 200 anni e all'accesso al trono di un nuovo Tenno, Naruhito, che porta con sé l'inizio dell'era Reiwa.

Per i giapponesi l'inizio di una nuova era rappresenta un'occasione per interrogarsi sullo stato dell'arte del paese, in una fase storica che è piena d'incertezze per la terza economia del mondo, la quale rischia di vedere il suo ruolo marginalizzato da una Cina sempre più arrembante in Asia orientale e dal tradizionale alleato statunitense sempre meno affidabile per quanto riguarda la gestione della sua sicurezza. L'istituto dell'abdicazione è stato attivato in Giappone per l'ultima volta 202 anni fa, nel 1817, quando a lasciare il Trono del Crisantemo fu Kokaku in favore del figlio Ninko che introdusse l'appellativo di Tenno per tutti gli imperatori giapponesi. Questa scelta, comune nel Giappone classico e feudale, era così desueta che non esisteva un percorso legislativo nella Legge sulla Casa imperiale. Dopo la richiesta di Akihito di poter lasciare il trono, con molte difficoltà il governo di Tokyo ha stabilito un percorso una tantum per l'abdicazione dell'imperatore ormai 85enne.




domenica 14 aprile 2019

Primo volo per Stratolaunch, l'aereo più grande del mondo




Si avvera il sogno di Paul Allen, miliardario e co-fondatore di Microsoft scomparso a ottobre 2018, che aveva annunciato nel 2011 l'intenzione di realizzare Stratolaunc.

Un aereo gigante dotato di sei motori e con l'apertura alare più grande mai realizzata, chiamato Stratolaunch, ha compiuto il suo primo volo sul deserto del Mojave, in California. Il capo esecutivo della Stratolaunch Systems Jean Floyd ha detto che l'aeroplano ha compiuto uno "spettacolare" atterraggio raggiungendo appieno l'obiettivo. È stato progettato dalla "Scaled Composites" per trasportare nello spazio e sganciare un razzo vettore, che a sua volta trasporta un satellite. Questo metodo semplificherebbe la messa in orbita di satelliti perché far decollare un aereo è molto più facile che lanciare un razzo.

La Stratolaunch, fondata dallo stesso Allen, punta a competere sul mercato dei velivoli pensati per il lancio di piccoli satelliti. "E' stato un momento emozionante - ha aggiunto Floyd - osservare di persona questo uccello maestoso spiccare il volo, vedere il sogno di Allen prendere vita davanti ai miei occhi". Il colossale Stratolaunch, un jet a doppia fusoliera con 117 metri di apertura alare, ha percorso 112 chilometri sul deserto a nord di Los Angeles in due ore e mezza, ad una velocità massima di 304 chilometri l'ora e a un'altezza massima di 5.181 metri.

Pensato per trasportare satelliti e, in un domani neanche troppo lontano, i turisti dello spazio, l’intenzione della società costruttrice è quella di rendere i velivoli un’alternativa efficiente ed economica al lancio dei razzi che trasportano i satelliti nello spazio. Stratolaunch è stato pensato come alternativa più economica ed efficiente al lancio dei razzi che trasportano satelliti nello spazio. I vettori, infatti, verrebbero sganciati direttamente a 35mila piedi, a un costo inferiore e con meno complicazioni rispetto a quelle che si incontrerebbero con un lancio tradizionale da una base sulla terra ferma.






domenica 24 marzo 2019

Via della Seta il Memorandum d'intesa tra Italia e Cina



L'Italia è il primo Paese del G7 a sottoscrivere un accordo sul discusso maxi piano infrastrutturale della Repubblica popolare. Ue e Usa contrari. Il premier Conte: "Impostare relazioni più efficaci".

Firmato a Villa Madama il memorandum d'intesa, da parte italiana il testo è stato firmato dal vicepremier e ministro per lo Sviluppo economico, Luigi Di Maio. Il presidente cinese Xi Jinping è giunto a Villa Madama.

Italia e Cina "devono impostare una più efficace relazione", l'auspicio espresso dal premier Giuseppe Conte, che ha sottolineato come i rapporti tra Roma e Pechino siano già "tradizionalmente molto buoni". "L'incontro sia proficuo - ha aggiunto il premier - e ci permetta di guardare con rinnovato interesse" ai rapporti tra i due Paesi. Di Maio dal canto suo ha rimarcato che "per noi oggi è un giorno importantissimo, un giorno in cui vince il Made in Italy, vince l'Italia, vincono le imprese italiane. Abbiamo fatto un passo per aiutare la nostra economia a crescere". "Solo gli accordi firmati qui oggi in sostanza valgono 2,5 miliardi di euro - ha aggiunto - Accordi che hanno un potenziale di 20 miliardi di euro". In occasione della visita di Stato di Xi Jinping, Di Maio ha firmato tre Memorandum d’Intesa sulla Belt and Road Initiative, sul Commercio elettronico e sulle Startup.

Gli accordi commerciali: in campo Eni, Ansaldo, Snam, Intesa, Danieli e i porti di Trieste e Genova – Il valore degli accordi siglati, ammonta a circa 2,5 miliardi, con un potenziale di 20 miliardi considerando l’effetto ‘volano’ delle intese raggiunte. Tra il resto, la Cina autorizzerà Cassa depositi e prestiti ad emettere ‘Panda bond‘, consentendo all’Italia di essere il primo tra i principali Paesi europei a vendere debito agli investitori nella Cina continentale.

Le altre nove intese sono un memorandum sul partenariato strategico tra Eni e Bank of China, un’intesa di collaborazione tecnologica sul programma di turbine a gas tra Ansaldo Energia e China United Gas Turbine Technology, un contratto per la fornitura di una turbina a gas AE94.2K per il progetto Bengangtra Ansaldo Energia, Benxi Steel Group e Shanghai Electric Gas Turbine, un memorandum tra Cdp, Snam e Silk Road Fund, una intesa di cooperazione strategica tra Agenzia Ice e Suning per la realizzazione di una piattaforma integrata di promozione dello stile di vita italiano in Cina, due accordi di cooperazione tra i Porti di Trieste e Monfalcone e quello di Genova e China Communications Construction Company, un memorandum of understanding tra Intesa Sanpaolo e il governo popolare della città di Qingdao, un contratto tra Danieli e China CAMC Engineering Co per l’installazione di un complesso siderurgico integrato in Azerbaijan.

Le intese istituzionali: dallo stop a doppia imposizione a export di agrumi – Le diciannove intese istituzionali, oltre alla collaborazione nell’ambito della ‘Via della Seta Economica’ e dell’Iniziativa per una Via della Seta marittima del 21° secolo, vanno dalla promozione della collaborazione tra startup innovative all’accordo tra governi per eliminare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni e le elusioni fiscali passando per un protocollo sui requisiti fitosanitari per l’esportazione di agrumi freschi dall’Italia alla Cina e un memorandum sulla prevenzione dei furti, degli scavi clandestini, importazione, esportazione, traffico e transito illecito di beni culturali e sulla promozione della loro restituzione. C’è poi anche la restituzione di 796 reperti archeologiciappartenenti al patrimonio culturale cinese. Due i gemellaggi: tra Verona e Hangzhou e tra l’Associazione per il patrimonio dei paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato e il comitato di gestione per il patrimonio dei “Terrazzamenti del Riso di Honghe Hani” dello Yunnan

''Questa mia visita a Palermo è stato un grande spot per la città e la Sicilia. Sono sicuro che in futuro verranno milioni di turisti cinesi'', ha detto Xi Jinping durante la sua visita a Palazzo reale. "Benché la Cina sia molto ricca di opere d'arte, Xi e la moglie non hanno nascosto lo stupore per la bellezza del Palazzo Reale e della Cappella Palatina, dove hanno concentrato la loro attenzione sui serpenti-draghi, mirabilmente illustrati da Giovanni Scaduto, storico dell'arte della Fondazione 'Federico II'. Decorazioni che hanno molte somiglianze con quelle cinesi - si legge in una nota -Xi Jinping ha attraversato la Sala dei Viceré, ha visitato la Sala Pompeiana e la Sala cinese, dove ha subito notato che alcune scritte in cinese ''non hanno alcun significato'', ha detto.

Critici anche gli Usa, preoccupati che l’apertura da parte di un membro della Ue possa minare gli sforzi di Washington per chiudere la guerra commerciale con la Cina. Oggi il Washington Post dedica alla visita in Italia del presidente cinese un pezzo intitolato Un’Italia ‘provocatoria’ (defiant) diventa il primo Paese del G7 a firmare l’iniziativa per la Via della Seta. L’articolo si apre con la descrizione della “calorosa accoglienza” ricevuta da Xi, anche per “gli standard decorosi delle visite di Stato”, un’accoglienza iniziata nel momento in cui il presidente cinese è entrato nello spazio aereo italiano e “due caccia del Paese ospite hanno scortato il suo aereo”. Secondo il quotidiano americano, “il simbolo geopoliticamente più importante, e controverso, di questa accoglienza è la firma” del memorandum, con l’Italia che diventa il primo Paese del G7 a farlo. “L’Italia, la cui economia è in affanno da decenni, sostiene i potenziali benefici economici sono troppo grandi per rinunciarvi. Ma con la firma dell’accordo, il governo populista sta rompendo le righe con i Paesi più potenti dell’Occidente, sfidando gli auspici dell’amministrazione Trump ed evidenziando il dibattito inquieto all’interno dell’Europa su come trattare le ambizioni di una Cina che si espande globalmente”.

Il monito di Washington era stato chiaro. E gli Usa pensavano di essere stati molto chiari durante l’ultimo viaggio di Giancarlo Giorgetti negli States e con i contatti dell’ambasciatore Lewis Eisenberg con i vari rappresentanti del governo (il sottosegretario ma anche con Giovanni Tria). Avevano chiesto garanzie al governo in generale e al Carroccio in particolare. Ma non è bastato a far desistere Palazzo Chigi da un memorandum che è stato una vittoria politica formidabile da parte della Cina di Xi Jinping.



domenica 17 marzo 2019

Clima, tutto il mondo in piazza per il Fridays For Future



Noi siamo giovani e non abbiamo contribuito a questa crisi. Noi siamo solo venuti al mondo e ora ci troviamo a dover convivere con questa crisi per il resto della nostra vita, come i nostri figli, i nostri nipoti e le prossime generazioni". "Non lo accetteremo, noi scioperiamo perché vogliamo un futuro e non molleremo".

Sta in queste parole innocenti della piccola Greta Thunberg, la 16enne svedese con la sindrome di Asperger che ha ispirato il movimento dei Fridays For Future - meritandosi una candidatura al Nobel per la Pace - il senso della mobilitazione planetaria che venerdì 15 marzo 2019 ha coinvolto milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto studenti, come Greta, scesi in piazza contro i cambiamenti climatici e per salvare il pianeta Terra. Ormai simbolo mondiale di questa protesta e di questa istanza, di quello che è diventato un movimento studentesco mondiale. Ma a cui aderiscono anche gli adulti, e fra questi oltre tremila scienziati. Con il suo cartello "Sciopero della scuola per il clima", Greta è andata a protestare silenziosamente tutti i giorni davanti al Parlamento di Stoccolma. Dopo le elezioni, la sua manifestazione è proseguita tutti i venerdì. E poi non è stata più solitaria. La notizia ha fatto il giro del mondo e Greta ha fatto seguaci, diventando di fatto portavoce di questo movimento giovanile. Ha pronunciato parole forti contro tanti grandi della Terra.

Il mondo intero è stato invaso dall'onda verde del "Global Strike for Future". Una movimentazione globale che lancia un segnale inequivocabile: non esiste un piano B e non c'è più molto tempo, bisogna agire ora per assicurare un futuro al genere umano.

"Penso che il cambiamento climatico non sia affrontato seriamente dalla classe dirigente - dice Benedetta da Roma - e comunque è importante perché siamo noi che dobbiamo fare il futuro della nostra nazione". "Trovo contraddittorio scendere in piazza per l'ambiente e poi fumare e buttare le cicche di sigaretta a terra - aggiunge una studentessa di Napoli - bisogna partire dalle piccole cose del proprio quotidiano e poi arrivare ai potenti della Terra per fare un cambiamento più radicale".

"Con i miei amici non possiamo giocare per strada a causa delle polveri e dell'inquinamento - ha detto da Seoul la giovane Kim Joon Soo - durante le lezioni di educazione fisica non possiamo uscire e siamo costretti a restare in classe. Mi sono resa conto che tutto questo è causato dal cambiamento climatico".

Accanto ai giovani sono scesi in strada anche tanti insegnanti e ambientalisti per alzare al cielo un'unica voce, nonostante le lingue diverse e per chiedere alla classe politica e agli adulti di agire non solo di fare "mea culpa".

Dicendosi "molto emozionata" per la giornata, Greta ha avuto parole dure per i leader del mondo della politica e della finanza che ha incontrato a Davos. "Non stanno scalfendo neanche la superficie del problema, non so quello che stanno facendo, stanno sprecando tempo - ha detto - l'inizio sarebbe iniziare a dire le cose come stanno e quello che deve essere fatto, quanto le emissioni devono essere ridotte". Alla domanda se anche gli adulti oggi devono scioperare, Greta ha risposto: "Dipende da loro, se vogliono che i loro figli abbiano un futuro".

A dicembre, alla Conferenza dell'Onu sul clima a Katowice, in Polonia, ha rimproverato i leader mondiali di "comportarsi come bambini irresponsabili, non abbastanza maturi da dire le cose come stanno", e da lì ha invitato tutti i ragazzi a mobilitarsi personalmente per questa causa. A gennaio ha parlato davanti al gotha dell'economia a Davos, attaccando chi "ha sacrificato valori inestimabili per continuare a fare somme di denaro inimmaginabili". Ha parlato a Bruxelles davanti al Comitato economico e sociale europeo, per dire che "non c'è abbastanza tempo per permetterci di crescere e prendere in mano la situazione

Viaggiando sempre in treno, perché gli aerei inquinano troppo, Greta ha girato da Parigi a Berlino ad Amburgo ed altre città europee, per sfilare in strada con altri studenti nello sciopero della scuola. Ha stilato una sorta di manifesto con le regole per manifestare: no a violenza, incidenti, rifiuti, profitti, odio, ridurre al minimo la propria impronta di carbonio e fare sempre riferimento alla scienza. E poi il suggerimento a seguire l'accordo di Parigi e i Rapporti degli scienziati dell'Ipcc (il panel intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici), contenere l'aumento del riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi, focalizzarsi sull'equità e la giustizia climatica.