domenica 8 novembre 2015
La Birmania è tornata al voto: chiusi i seggi, attesa per i risultati
Seggi chiusi e via allo spoglio in Birmania, dove si sono tenute le prime elezioni libere dal 1990, quando si instaurò una giunta militare. Il regime si è fatto da parte ma si è riservato una quota importante, che rischia di essere una quota di controllo, nel nuovo sistema democratico. Un quarto dei seggi in entrambe le camere è appalto dei militari. Per il resto vige un sistema maggioritario secco.
L’opposizione rappresentata dalla Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace che ha speso quindici anni agli arresti domiciliari, è data per favorita. La settantenne leader ha votato in mattinata, per la prima volta nella sua vita, in un seggio dell’ex capitale, Rangoon, dove si vedevano lunghe file davanti ai seggi.
I primi risultati delle storiche elezioni in Birmania - rinominata Myanmar con la giunta militare - saranno annunciati domani mattina alle 9 locali (le 3,30 in Italia), ha annunciato la Commissione elettorale, mentre nei seggi è già in corso lo scrutinio delle schede votate. Per i risultati completi, ci potrebbe volere più di una settimana. L’NDL della signora Suu Kyi sfida il partito appoggiato dai generali, l’Union Solidarity Development Party (USDP) al potere dal 2011. Lunghe code e grandi folle ai seggi, come a Yangon dove ha votato la signora Suu Kyi, che sorriso e fiori fra i capelli, ha evitato ogni commento.
Ma non si sono verificati problemi rilevanti, secondo il capo degli osservatori europei:
“Finora abbiamo constatato procedure che sembrano abbastanza affidabili, non esenti da problemi o imperfezioni ma alcune delle cose di cui avevamo discusso in precedenza non sembrano porre grandi problemi al momento, per esempio le liste elettorali, non abbiamo constatato per esempio problemi nell’identificazione degli elettori qui a Rangoon, ma questo non esclude che si possano poi ricevere indicazioni diverse dal resto del Paese”.
Gli osservatori internazionali non sono stati però autorizzati a verificare i seggi installati nelle basi militari, dove il voto si è concluso già in tarda mattinata. Nel Paese l’affluenza alle urne è stata massiccia, intorno all’80% secondo la Commissione elettorale centrale. Per i risultati definitivi bisognerà attendere due settimane.
Se Aung San Suu Kyi non avrà i numeri per governare da sola, dovrà cercare un difficile accordo. Probabilmente si rivolgerà ai più forti dei tanti partiti rappresentanti delle diverse etnie che compongono il mosaico birmano. Sarà un passaggio delicatissimo. «La Lega nazionale per la democrazia (Nld) non può andare da sola, ha bisogno di alleati», ha spiegato Khin Zaw Win dell'Istituto Tampadipa di Yangon. E non sarà semplice. Una delle linee di frattura in Birmania è appunto quella etnica. I rapporti tra la maggioranza buddista e le diverse minoranze, molte delle quali islamiche, sono estremamente tesi.
Sebbene la famiglia di Aung San abbia una storia d'integrazione, l'ascesa di un movimento buddista duro e il permanere di focolai di rivolta e della repressione da parte dei militari, non segnala nulla di buono. Inoltre il partito della premio Nobel ha irritato alcuni di questi partiti etnici con la decisione di presentarsi in tutte le aree del Paese.
Il pericolo più grande resta comunque la tensione tra l'attesa di democrazia che i birmani a questo punto hanno e il «grip» che l'ex giunta continua a mantenere su strutture di potere ed economiche nel paese del Sudest asiatico. Un caso tipico è quello della giada, la pietra preziosa tanto cara alla cultura cinese. Secondo l'organizzazione non governativa Global Witness, si tratta di un settore che produce entrate per 31 miliardi di dollari, ben oltre quanto ufficialmente dichiarato dalle autorità. Una ricchezza enorme che finisce nelle mani di figure legate al vecchio regime, compresi membri della famiglia dell'uomo forte di Myanmar, l'ex capo della giunta militare Than Shwe. «Stiamo parlando di persone che avrebbero molto da perdere se s'instaurasse una genuina democrazia che porrebbe domande su tali quantità di denaro», ha spiegato Juman Kubba di Global Witness.
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