mercoledì 18 giugno 2014

Spagna, Juan Carlos firma abdicazione



Trentanove anni fa con l'alta uniforme scura di medaglie e di coccarde, diceva “Viva la Constituciòn”, pure quella volta dentro il televisore di ogni casa spagnola, insonni tutti anche se era quasi l'alba, e non si sapeva ancora se il nuovo giorno sarebbe stato ancora una volta il passato che tornava oppure finalmente, e per sempre, il futuro che chiudeva le porte della storia nazionale.

Juan Carlos I non è più re di Spagna. A Palazzo Reale ha controfirmato la legge che rende effettiva la sua abdicazione compiendo l'ultimo atto da capo dello Stato. La norma sarà esecutiva dalla mezzanotte e da quel momento suo figlio Felipe sarà re. Alla firma sono presenti la Regina Sofia e il principe Felipe, in abiti civili come il padre, con la moglie Letizia e le figlie Leonor e Sofia.

Un emozionato Juan Carlos, dopo la controfirma dell'abdicazione e della rettifica da parte del premier spagnolo Mariano Rajoy, ha abbracciato il successore al trono, il figlio Felipe e in un gesto simbolico gli ha ceduto la sua poltrona. Il passaggio di consegne, in presenza di donna Sofia e di Letizia, che dalla mezzanotte sarà regina, e delle infante Leonor di Borbone - l'erede al trono che a sua volta diventa principessa delle Asturie - e Sofia. Al termine dell'atto solenne, davanti a 160 invitati, un'ovazione ha salutato Juan Carlos I, visibilmente emozionato, che è stato baciato dalle nipoti, prima dell'inno nazionale che ha chiuso la cerimonia.

In questi due messaggi a “los pueblos de Espan^a” e “Todos al suelo, con^o”, il primo del 23 febbraio dell'81, è  racchiuso un intero mondo: la parabola di una monarchia, la vicenda di un uomo, il destino di un paese.

L'eredità gli era stata consegnata dallo stesso Francisco Franco, nel tardo mattino del primo ottobre del '75, con un abbraccio che, dal balcone del Palacio de Oriente, siglava il passaggio dei poteri davanti a una folla osannante che sventolava in aria i fazzoletti bianchi di un' appartenenza senza scelte. “E' l'abbraccio della morte”, dicemmo in tanti ch'eravamo venuti a Madrid a vedere un importante pezzo di storia d'Europa che finiva; e in un'intervista perigliosamente clandestina che mi diede, qualche notte dopo, nel silenzio immobile di una anonima casa di periferia, Santiago Carrillo, segretario del partito comunista, l'uomo più odiato e più ricercato del regime, il vecchio “compan^ero” ora senza la parruca che gli proteggeva la clandestinità mi disse con disprezzo: “Passerà alla storia come Juan Carlos il Breve”.

Il cardinale Tarancòn, appena pochi giorni dopo la morte di Franco, il 20 novembre, incoronandolo nella cattedrale de los Jeronimos gli aveva chiesto di essere “il re di tutti gli spagnoli”, si doveva capire che, forse, davvero il disegno della storia sarebbe stato diverso. Sul letto di morte, il Caudillo aveva detto, rassicurante, che lasciava il paese “atado y bien atado”, che tutto era sotto controllo, insomma; e invece ecco che, prima il vecchio cardinale, e poi il Richelieu più ascoltato, Torcuato Fernàndez de Miranda, stavano sussurrando al re appena intronato ben altra storia: che si doveva cambiare, “con juicio”, certo, ma comunque cambiare. E arrivò la designazione di un giovane outsider, Adolfo Suàrez, a capo del governo, con lo sconcerto dell'impalcatura del vecchio regime, poi la legalizzazione dei partiti e non più soltanto l'eterna Falange, poi ancora la nuova Costituzione e, addirittura, perfino la legittimazione del partito comunista. Quello che era stato immaginato “atado” scioglieva, libero, i suoi lacci consunti. L'approdo alla modernità lo aveva pilotato il re di Franco.

Re costituzionale mai dubbioso del proprio ruolo storico, ha rispettato doverosamente il gioco parlamentare, e consegna oggi la Spagna e il principe Felipe ai tempi nuovi d'una democrazia che deve sapersi misurare con le sfide del futuro. Certo, nel privato ne ha fatte di cotte e di crude, è stato uno scavezzacollo sempre dietro gonne al vento, un “mujeriégo” impenitente come dicono a Madrid; ma alla fine sono fatti suoi, e poco del paese, anche se hanno contribuito a deteriorare l'immagine della monarchia, insieme con gli scandali finanziari che hanno agganciato suo genero e la infanta Cristina. Sono storie di oggi, un re che se ne va sa bene che peseranno nel bilancio finale che lo accompagnerà; il 60% degli spagnoli sono nati dopo le pistolettate di Tejero, e sanno poco di quel “Todos al suelo, con^o!” ma sanno tutto dei traffici amorosi di Juan Carlos e dei traffici incerti della sua famiglia.


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