venerdì 25 aprile 2014

Il mito di Ayrton Senna, 20 anni dopo



Tributo di Imola dall'1 al 4 maggio al pilota morto nello schianto della sua Williams

A rendere immortale il mito di Senna, oltre ai grandi successi in pista (41 vittorie e 80 podi in 161 Gp), resterà anche il suo lascito in tema di sicurezza. Dopo quell'1 maggio la F1 ha compiuto notevoli progressi per rendere le macchine e i tracciati più sicuri: da allora nessun incidente mortale.

Storico "tempio dei motori", Imola si appresta a ospitare ai primi di maggio il tributo a un mito dello sport, il pilota brasiliano Ayrton Senna, a vent'anni dallo schianto mortale dopo il cedimento del piantone dello sterzo della Williams. Fu, quello dell'1 maggio 1994, Gp infausto: gli incidenti della Jordan di Barrichello alla variante bassa, l'impatto della Lotus di Lamy sulla Benetton di Letho con nove spettatori feriti, le morti dell'austriaco Roland Ratzenberger alla curva Villeneuve e di Senna al volante alla curva del Tamburello.

C’è una targa di bronzo in un immenso giardino, sopra la tomba numero 11. A San Paolo del Brasile, nel cimitero di Morumbi, riposa Ayrton Senna da Silva, campione del mondo di Formula 1, morto a Imola 20 anni fa durante il Gran premio di San Marino.

L’epitaffio: “Nada pode me separar do amor de Deus”. Poi il nome, la data di nascita (21 marzo 1960) e di morte (1 maggio 1994), una piccola bandiera brasiliana.

Da vent’anni quest’angolo verde della pace eterna è meta di un continuo pellegrinaggio di tifosi, tanti italiani, che lasciano un biglietto, una foto con dedica, un mazzo di fiori. Così come accade al circuito di Imola, sotto la statua di bronzo che ritrae il campione seduto sul muretto. Ha l’aria pensierosa di chi scruta la curva in cerca della traiettoria migliore, o di chi ha il presentimento che all’indomani, in gara, qualcosa andrà storto perché così sta scritto nel libro della vita. Ayrton Senna è tornato a casa chiuso in un bara, con un volo di sola andata da Bologna a San Paolo, la metropoli dov’era nato.

Lo definirono il signore della pioggia, il re delle pole position. Tre campionati del mondo con la McLaren. Una carriera sfolgorante, iniziata con i kart e le formule minori.

Debuttò in F1 nel 1984 in Brasile, con la Toleman Hart, ma fu nel Gp di Montecarlo e l’anno successivo all’Estoril che iniziò a brillare la sua stella, sempre sotto la pioggia.
Quando la pista si allagava e le condizioni meteo diventavano proibitive lui volava sull’asfalto. Più che signore, mago della pioggia.

Seguirono gli anni con la Lotus, la monoposto più bella del circus: nera con le scritte in oro dello sponsor John Player Special. Imbattibile in qualifica, più fragile in corsa.
Ayrton Senna sfruttò l’occasione per farsi notare e passare a un top team: la McLaren.

Il bilancio fu trionfale: tre titoli malgrado la guerra fratricida con il compagno di squadra Alain Prost, il professore. Aveva ripetuto più volte di essere felice solo quando si sentiva al limite: “Sono un ragazzo che ha sacrificato tanto della propria esistenza per le corse. Ho pensato a questo mestiere fin da quando ero bambino, ho dato tutto me stesso e ritengo di amarlo più di chiunque altro. Per questo fino a quando continuerò a correre lo farò solo per vincere. Mi ritirerò solo il giorno in cui mi accorgerò di essere andato un decimo più lento rispetto alle mie possibilità».

Appariva spesso pensieroso, triste. Ma al volante si trasformava, diventava un duro, spietato. Il suo talento non sfuggì all’occhio vigile di Frank Williams che se lo fece scappare in gioventù, ma non quando Ayrton Senna, all’apice della carriera, decise di cambiar aria.

Eccoci dunque al 1994, la tuta bianca e blu aveva sostituito quella rossa. Il talento era lo stesso, la voglia di vincere anche maggiore. Amava l’Italia e veniva ricambiato. A Imola era di casa. Quel Gran premio fu maledetto: in prova l’incidente mortale di Roland Ratzenberger funestò la vigilia. Senna era più scuro in volto del solito quella domenica che coincideva con la festa dei lavoratori. Si accesero i motori, il semaforo diventò verde.

Dopo pochi giri alla curva del Tamburello la sua Williams non seguì la traiettoria, tagliò la curva e si disintegrò contro il muretto di cemento: la monoposto rimbalzò all’indietro e il casco picchiò a destra e a sinistra. Anche lo spettatore incollato alla tv capì che l’incidente era grave. Arrivarono i soccorritori, l’eliambulanza scese in pista e portò via Ayrton Senna.

La gara non si fermò: vinse Michael Schumacher sulla Benetton davanti a Nicola Larini sulla Ferrari, ma tutti i tifosi avevano il pensiero a Bologna, in ospedale, dove stavano cercando di coinvincere un corpo ferito a non cedere, un cuore a non fermarsi. La telecronaca della Rai diventò affannosa, in studio Clay Regazzoni tenne in pugno la situazione senza cadere nell'ovvietà. Verso sera, davanti alla telecamere dei tg, la dottoressa Maria Teresa Fiandri annunciò che Ayrton Senna era morto. Migliaia di persone non riuscirono a trattenere le lacrime.

Lo stesso dolore del maggio 1982, a Zolder, quando si staccò il sedile della Ferrari e Gilles Villeneuve volò via fino a schiantarsi contro un palo della recinzione del circuito.

Il Brasile proclamò tre giorni di lutto nazionale. Ai funerali a San Paolo un intero popolo seguì il corteo in quello che il presidente definì uno dei giorni più tristi della storia. La bara fu accompagnata dai colleghi: in prima fila Emerson Fittipaldi, Gerhard Berger, Alain Prost, Michele Alboreto. Tutti commossi. A distanza di anni, in uno studio della Rai, Rubens Barrichello - nel frattempo passato alla Ferrari - non riuscì a trattenere le lacrime quando Lucio Dalla intonò con Luca Carboni la canzone dedicata all’amico.

“Il mio nome è Ayrton e faccio il pilota, corro veloce per la mia strada, anche se non è più la stessa strada, anche se non è più la stessa cosa”.
“E ho deciso una notte di maggio, in una terra di sognatori, ho deciso che toccava forse a me.
Ho capito che Dio mi aveva dato il potere, di far tornare indietro il mondo, rimbalzando nella curva insieme a me.
Mi ha detto: chiudi gli occhi e riposa e io ho chiuso gli occhi”.



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