domenica 19 gennaio 2014

Obama, NSA e le nuove prospettive dell’intelligence



"Tutti i Paesi lo fanno, è per la sicurezza: però introdurremo limiti". Greenwald e Assange ironizzano: vende fumo, non cambia niente. Con questo e altri esempi storici - ricordando come l'intelligence nazionale abbia aiutato a rendere sicuri «il nostro Paese e la nostra libertà», Barack Obama ha cominciato uno dei discorsi più attesi e preparati del suo secondo mandato: quello sulla raccolta dati della National Security Agency - Nsa - raccontata nei dettagli dalle rivelazioni dei mesi scorsi di Edward Snowden.

Quando il Paese era ancora giovanissimo, la notte, nelle strade di Boston, un piccolo gruppo segreto controllava i movimenti delle truppe britanniche, per raccogliere informazioni su possibili attacchi contro «i primi patrioti americani».

L’agenzia governativa statunitense Nsa è in grado di sorvegliare anche i computer che non sono connessi a internet, grazie a un software che ha installato in più di 100mila computer in tutto il mondo.

Questa tecnologia, che l’agenzia ha adottato nel 2008, si basa sull’uso di onde radio nascoste, trasmesse da circuiti microscopici e da schede usb installate manualmente nei computer. La rivelazione arriva dal New York Times, che è entrato in possesso di nuovi documenti riservati dell’agenzia.

Stando ai documenti, tra gli obiettivi sorvegliati non ci sarebbero civili. Secondo l’Nsa tutte le operazioni sono state condotte su “obiettivi segreti stranieri per esigenze di intelligence”. L’agenzia ha messo sotto controllo le forze armate cinesi e russe, qualche ente dell’Unione Europea e alcune persone legate ai cartelli della droga in Messico.

“Non abbiamo mai fatto spionaggio industriale per conto delle aziende statunitensi”, ha aggiunto un portavoce dell’agenzia.

Ecco come si svolgeva la sorveglianza secondo il New York Times.

1. Ricetrasmittenti minuscole o piccoli circuiti vengono inseriti dentro una presa usb e collegate al computer.

2. Le ricetrasmittenti si collegano a un ricevitore della Nsa grande come una valigetta, che può essere messo fino a otto chilometri di distanza dal computer.

3. Attraverso il ricevitore i dati vengono trasmessi a uno dei centri di controllo dell’Nsa, che li può leggere e modificare.

4. I dati possono fare anche il percorso inverso: per esempio le stazioni dell’Nsa possono trasmettere al computer sotto controllo un virus malware, come è successo nelle operazioni di sabotaggio degli impianti nucleari iraniani.

Un annuncio importante. Il 17 gennaio Barack Obama dovrebbe annunciare una riforma dell’Nsa. Il presidente statunitense potrebbe proporre una legge per proteggere la privacy anche dei cittadini non americani, per calmare le polemiche dei mesi scorsi sulle attività di spionaggio dell’agenzia all’estero.

Secondo il Wall Street Journal Obama potrebbe anche nominare un advocate for privacy issues, un funzionario che avrà il compito di garantire la privacy dei cittadini e fare da mediatore con la Fisa (Foreign intelligence surveillance act), la corte che autorizza l’Nsa a mettere in piedi le intercettazioni. Attualmente la corte approva le richieste direttamente su sollecitazione del governo, senza passare attraverso l’autorizzazione di un giudice.

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha tenuto una conferenza stampa nella sede del dipartimento di giustizia, a Washington, per annunciare una riforma della National security agency (Nsa), l’agenzia d’intelligence statunitense al centro dello scandalo Datagate.

Le proposte del presidente riepilogate dal Washington Post.
Le agenzie di spionaggio statunitensi non raccoglieranno più i metadati dei tabulati telefonici. Questo significa la fine del programma di sorveglianza dell’Nsa denunciato da Edward Snowden, almeno per come è concepito ora. Ci vorrano mesi per chiuderlo definitivamente. Nel frattempo il presidente ha deciso di mettere dei limiti all’attività delle agenzie.

Obama vuole comunque garantire al governo l’accesso ai tabulati per alcuni casi specifici. Non ha ancora deciso come, ma ha elencato un paio di possibilità: le compagnie telefoniche potrebbero conservare i tabulati dei loro clienti e dare l’accesso al governo solo per ordine di un tribunale. Oppure si potrebbe creare un nuovo ente, in grado di raccogliere e proteggere grandi quantità di metadati.

Il presidente vuole che lo spionaggio degli alleati finisca. I capi di stato “amici” saranno d’ora in poi esclusi dalla sorveglianza elettronica. I funzionari della Casa Bianca hanno detto che le intercettazioni su questi obiettivi in realtà sono già state interrotte. Ma ci sono delle eccezioni.

Obama non ha chiarito cosa intende per “alleati più stretti”, e dalle intercettazioni non verranno comunque esclusi i collaboratori dei leader stranieri.

Obama chiede al congresso di creare un comitato indipendente di public advocates (difensori pubblici) che devono intervenire nei casi di violazione della privacy da parte delle agenzie governative.

Il presidente ha promesso maggiore protezione per la privacy dei cittadini stranieri, aggiungendo che saranno intercettati solo per questioni di sicurezza nazionale

Il presidente stati8unitense ha risposto a sei mesi di polemiche - nazionali e internazionali - presentando una serie di aggiustamenti al programma dell'agenzia di intelligence, cercando un difficile equilibrio tra la necessità di apparire fermo sulla sicurezza nazionale e allo stesso tempo difensore della privacy dei cittadini. Obama, davanti a un pubblico di deputati e capi delle agenzie di intelligence, ha proposto alcune revisioni delle attività dell'Nsa, alcune dai contorni ancora poco chiari.

Il programma, così come lo conosciamo tramite le rivelazioni dell'ex analista dell'agenzia, avrà fine. La massa di dati raccolta finora non potrà più essere custodita dal governo federale, ma sarà trasferita a un partito terzo - l'Amministrazione deve ancora trovare una soluzione su questo punto - e i funzionari dell'intelligence potranno accedervi soltanto dopo aver ricevuto il consenso di un tribunale segreto. Il Congresso lavorerà alla creazione di un comitato pubblico che avrà - in casi specifici - la possibilità di opporsi alle richieste di monitoraggio di alcune agenzie. I capi di Stato stranieri non saranno più ascoltati e ai cittadini di Paesi terzi saranno garantite alcune delle protezioni di cui già godono gli americani.

Per alcuni analisti che hanno commentato a caldo l'intervento del presidente sulle televisioni americane, il discorso di Obama in un certo senso non ha precedenti. Nessun leader, infatti, si era mai addentrato così tanto in pubblico nei dettagli delle attività delle agenzie di intelligence nazionali. Tuttavia, le sue parole e gli aggiustamenti non garantiscono a Obama la fine dell'era delle polemiche: «È imbarazzante vedere un presidente degli Stati Uniti parlare per 45 minuti per non dire nulla, veramente imbarazzante», ha immediatamente detto il capofila dei critici, il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, in diretta alla Cnn dall'ambasciata ecuadoriana a Londra. E per Glenn Greenwald, il giornalista che sul Guardian ha pubblicato le prime rivelazioni della «talpa» Snowden, la riforma dell'Nsa è «solo un gesto di pubbliche relazioni».

Le riforme, nonostante siano più vaste di quanto previsto, lasciano intatte alcune «pratiche chiave della sorveglianza», ha scritto il Wall Street Journal. E le parole di Obama hanno reso chiaro che gli Stati Uniti non cederanno in nulla sulla sicurezza. Il presidente ha innanzitutto difeso con forza l'attività dei funzionari dell'Nsa - «nulla sta a indicare che la nostra intelligence abbia cercato di violare la legge» - ha spiegato la necessità di una stretta sorveglianza dei servizi segreti soprattutto dopo l'11 settembre, ha ricordato come «il punto delle intelligence sia quello di ottenere informazioni non accessibili al pubblico», ha parlato di come le capacità dei servizi segreti americani siano anche vitali per gli alleati stranieri e, annunciando la fine della sorveglianza delle comunicazioni di alcuni leader amici, ha detto che l'America non smetterà comunque la normale attività di spionaggio, come fanno tutti gli altri Paesi: «Ora, lasciatemi essere chiaro: le nostra agenzie di intelligence continueranno a raccogliere informazioni sulle intenzioni di governi - non privati cittadini - nel mondo, allo stesso modo in cui agiscono i servizi di ogni altra nazione. Non chiederemo scusa semplicemente perché i nostri servizi sono più efficaci».

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mercoledì 15 gennaio 2014

Ariel Sharon: militare e il politico



E' morto Ariel Sharon, la 'spada di Davide'. Obama, ha consacrato vita ad Israele Generale di ferro, dalla strage di Sabra e Chatila al ritiro da Gaza. La sua morte divide. Piange Israele. Per i palestinesi era ''un criminale con le mani sporche di sangue''.

Nacque venti anni prima dello Stato di Israele. Si arruolò a 14 anni nelle unità  di un insediamento ebraico. Poi il massacro di Sabra e Chatila e la politica. Ariel Sharon è stato anzitutto un soldato che ha dedicato la vita alla difesa d’Israele, ma divenuto premier ha dimostrato di essere pronto a cedere terra per dare una possibilità in più alla pace. È l’avanzata dell’Afrika Korps di Rommel che, a 14 anni, lo spinge ad arruolarsi nell’Haganà, le unità clandestine di un insediamento ebraico della Palestina britannica che si prepara allo scontro con la Germania nazista. La sconfitta dell’Asse ad El Alamein scongiura questo scenario ma Sharon resta nelle fila dell’Haganà accumulando battaglie, ferite, decorazioni ed esperienze che lo trasformano nell’eroe più indisciplinato dell’esercito del nuovo Stato.

L'ex premier israeliano Ariel Sharon è morto a 85 anni nell'ospedale di Tel Ha Shomer, nei pressi di Tel Aviv, dove era ricoverato negli ultimi tempi. Le sue condizioni - Sharon era in coma da otto anni - si sono drammaticamente aggravate nei giorni scorsi.

"Il mio caro amico Arik Sharon ha perso oggi la sua ultima battaglia. Arik era un soldato valoroso e un leader che sapeva osare. Amava la sua nazione e la sua nazione lo amava". E' il primo commento del capo dello Stato Shimon Peres alla morte dell'ex premier israeliano Ariel Sharon.

"Un grande e coraggioso leader e un vero sionista". Così il capo dell'opposizione israeliana, il laburista, Isaac Herzog, ha commentato la morte di Ariel Sharon. Herzog ha detto che Sharon sapeva come "cambiare la sua opinione del mondo e riconoscere il giusto percorso dello Stato di Israele".

Sharon era un "criminale, responsabile della morte di Arafat sfuggito alla giustizia internazionale". Così Jibril Raboub, un dirigente di Fatah, ha commentato la morte dell'ex premier israeliano. Hamas al potere a Gaza ha definito un "momento storico" la "scomparsa di questo criminale con le mani coperte di sangue palestinese".

Nato nel febbraio 1928 in un villaggio ebraico della Palestina sotto mandato britannico, Ariel Sharon è stato fin da ragazzo un personaggio chiave nello Stato di Israele: spesso ammirato dai connazionali, ancora più spesso temuto dai dirigenti del Paese, perfino odiato dalla stampa locale, ma mai sottovalutato.

L'uomo che per decenni era stato una 'Spada di Davide' ed aveva fatto ricorso senza remore alla forza per modellare un Medio Oriente a misura di Israele, dal gennaio 2006 sarebbe rimasto costretto nel letto di un ospedale di Tel Aviv. In questo simile al suo acerrimo rivale, il palestinese Yasser Arafat, spentosi in un ospedale francese quando ormai era ridotto in fin di vita.

La storia personale di Sharon inizia nei campi del villaggio di Kfar Mallal. Il padre Shmuel è un rude agronomo russo, che costringe il figlio a lavorare nei campi fin da bambino e di notte lo mette a fare la guardia per impedire che i beduini gli rubino il raccolto. Nemmeno con i laburisti ebrei va troppo d'accordo: Arik comprende che nel mondo, per restare a galla, occorre farsi valere.

Ma nel 1953 è già in prima linea: anzi, oltre le linee nemiche, alla guida della Unita' 101 incaricata dal premier David Ben Gurion di compiere azioni di ritorsione alle incursioni dei fedayn palestinesi. E la '101' diventa sinonimo di crudeltà: soprattutto dopo la strage di Kybia (Cisgiordania), dove morirono 60 palestinesi. A Ben Gurion, Sharon piace. "Ha solo il difetto di non dire la verità", nota. Tattico militare brillante, Sharon fa carriera: prima nei parà, poi nei carristi. Nel 1967 (guerra dei Sei Giorni) combatte nel Sinai e con le sue manovre disorienta 16mila soldati egiziani. Nel 1973 (guerra del Kippur) è di nuovo nel Sinai: indisciplinato come sempre, eppure alla guida di una testa di ponte che sfonda le linee egiziane. Ma politicamente è a destra: dunque capisce che l'establishment laburista non gli consentirà di diventare capo di Stato maggiore. Inizia così la grande manovra di aggiramento: sarebbe entrato nella stanza dei bottoni se non per meriti militari, almeno grazie a manovre politiche. E' suo il progetto del Likud, la fusione di tutte le liste della destra nazionalista. Nel 1977 Menachem Begin (Likud) vince le elezioni e nel 1981 nomina Sharon ministro della Difesa. La sua figura incute timore nella sinistra. "Circonderà l'ufficio del premier con i carri armati", avverte un ministro. "Sharon non si ferma col rosso", avverte il cantante Shalom Hanoch.

E i suoi timori si concretizza nel giugno 1982, quando inizia l'invasione del Libano in seguito ad un grave attentato palestinese. Begin vorrebbe un'operazione limitata ma Sharon marcia su Beirut, da dove espelle Arafat. Nel settembre c'è il massacro di Sabra e Shatila: migliaia di palestinesi sono massacrati da falangisti libanesi in una zona di Beirut i cui perimetri sono presidiati da Israele. Sharon, sotto accusa, è costretto ad abbandonare il ministero della Difesa. Ma accetta incarichi ministeriali fino alla competizione elettorale con Ehud Barak (laburista) nel terribile febbraio 2001, insanguinato dagli attentati dell'Intifada palestinese armata.

Le antenne del vecchio generale gli dicono che dietro al terrorismo c'è Arafat: come il gatto col topo, lo intrappola nella Muqata di Ramallah e stringe i Territori in una morsa di ferro. In seguito fa innalzare la Barriera di sicurezza. E la violenza palestinese gradualmente cala, fino a cessare. Negli anni 'Arik' ha appreso che la forza può solo essere un tampone. Per costruire ci vogliono idee nuove: e nel 2005 cancella con un grandioso colpo di spugna 25 insediamenti ebraici dalla Striscia di Gaza espellendone gli 8 mila coloni. Su questa mossa, il Likud si spacca. Allora Sharon, assieme con Shimon Peres, fonda una nuova lista centrista, Kadima, che avrebbe dovuto procedere nel disimpegno israeliano anche in Cisgiordania, dopo un'auspicata vittoria alle politiche del gennaio 2006.

Ciò che più conta nella sua storia politica è il legame che costruisce con i “Gush Emunim”, gli abitanti degli insediamenti ebraici in Cisgiordania dei quali diventa il paladino, convinto sostenitore della necessità di controllare più terra possibile per difendersi dai nemici arabi. Quando Begin viene rieletto nel 1981 lo nomina ministro della Difesa ed è in questa veste che diviene il protagonista dell’operazione militare “Pace in Galilea”: l’attacco contro le basi dell’Olp in Libano in risposta all’attentato contro un diplomatico israeliano a Londra. È una guerra che Sharon spinge fino ad arrivare a Beirut. Riesce nell’intento di espellere Yasser Arafat ed i suoi guerriglieri ma rimane imbrigliato nella strage di Sabra e Chatila. Sono i campi profughi nei quali, fra il 16 e il 18 settembre, vengono uccisi fra 800 e 3.500 palestinesi per mano delle milizie falangiste cristiano maronite guidate da Elie Hobeika ma il perimetro esterno dei campi è sotto il controllo degli israeliani e la Commissione Kahan, insediata a Gerusalemme, giudica Sharon “indirettamente responsabile” del massacro per aver “ignorato il pericolo di un bagno di sangue e non aver fatto nulla per impedirlo”.

È il momento più difficile della sua vita dal quale si risolleva grazie all’impegno del Likud che lo porta a ricoprire più ministeri fino all’elezione a premier nel febbraio 2001. A sfidarlo è la Seconda Intifada, a colpi di kamikaze dentro autobus e ristoranti, che riesce a piegare con due mosse: l’operazione “Muro di Difesa” che lancia nel 2002 dentro i territori palestinesi ordinando ai soldati di “entrare nelle città sparando” e la successiva edificazione di una barriera di separazione fra insediamenti ebraici e villaggi arabi in Cisgordania.

Sharon si convince a tal punto della necessità della separazione fisica dai palestinesi che nell’agosto del 2005 decide l’espulsione forzata di circa 10 mila israeliani da 21 insediamenti a Gaza per consentire alla Striscia di diventare il primo nucleo del nuovo Stato di Palestina. L’infarto che lo colpisce il 4 gennaio, causando un massiccio ictus, è favorito da una salute precaria dovuta ad alto colesterolo, alta pressione ed un’obesità leggendaria.

lunedì 6 gennaio 2014

Gli USA si dividono per la piccola Jahi McMath



Doveva essere un'operazione di routine, l' asportazione di tonsille e adenoidi, ma dopo l'intervento sono sopraggiunte gravi complicazioni che non hanno permesso al sangue di arrivare correttamente al cervello. Jahi, 13 anni è stata dichiarata cerebralmente morta, ma la madre non ci sta. Il dibattito tra scienza e fede sta dividendo gli statunitensi.

Jahi McMath è una bambina afroamericana di soli 13 anni che vive a Oakland, sull'altra sponda della Baia di San Francisco, al di là del Bay Bridge. La piccola è diventata, suo malgrado, protagonista del dibattito tra scienza e fede che sta letteralmente lacerando la coscienza americana."Il suo cuore batte, ma il suo cervello è morto" hanno spiegato i medici del Children Hospital di Oakland ai genitori di Jahi.

Per l’ospedale ciò significa la morte della paziente ma la madre, Nailah Winkfield, è una battista praticante e si è subito opposta a staccare il ventilatore che consente alla bambina di respirare. «Credo in Dio, credo fermamente che se la avesse voluta morta l’avrebbe già presa con sé - afferma la madre -, ma poiché il suo piccolo cuore ancora batte, il sangue circola, lei si muove quando le sono vicino e ciò significa che non è deceduta».

A sostegno della madre di Jahi c’è anche la Fondazione Terri Schiavo, che porta il nome della donna in stato vegetativo morta in Florida nel 2005 al termine di un lungo braccio di ferro legale, che si offre di coprire parte delle spese di trasferimento dalla California a New York.

La battaglia di Nailah per trovare un ospedale alla figlia ha però un limite oggettivo nel rischio che lo spostamento possa ucciderla ma la donna sembra comunque determinata a tentare: «Sono convinta che Jahi ce la farà». Nella comunità medica sono in molti tuttavia a dubitare che l’opzione New York possa concretizzarsi. «Davanti alla pubblicazione di un certificato di morte nessun ospedale può accogliere Jahi affermando che sia viva» osserva David Magnus, direttore del Centro di Biomedicina Etica dell’Università di Stanford, ribadendo che «non esistono nella scienza casi conosciuti di persone cerebralmente morte tornate in vita» a differenza di quanto avvenuto in situazioni di pazienti terminali in stato vegetativo.

Fra i casi più noti c’è quello di Jesse Koochin, il bambino di 6 dello Utah che nel 2004 venne dichiarato cerebralmente morto ma venne portato a casa dai genitori e riuscì a respirare per un altro mese prima di smettere.

La madre tuttavia non si arrende davanti alle evidenze scientifiche, scende in strada a Oakland per incontrare i reporter e afferma, fra le lacrime: «Mi accusano di volermi sostituire a Dio ma non è così, sono solo una donna che crede profondamente nell’esistenza di Dio e si oppone a staccare la spina a una ragazza che ancora respira». «Non credo a quelli che dicono che staccando il ventilatore mia figlia starà meglio - aggiunge la madre - credo a quello che vedo, dobbiamo darle una possibilità di farcela».

Davanti all’insistenza della donna, il portavoce dell’ospedale Sam Singer, ammette che «faremo un passo indietro se verrà qui un dottore per inserire i tubi dell’alimentazione nella bambina e poi si assume la responsabilità del trasferimento».