lunedì 6 gennaio 2014

Gli USA si dividono per la piccola Jahi McMath



Doveva essere un'operazione di routine, l' asportazione di tonsille e adenoidi, ma dopo l'intervento sono sopraggiunte gravi complicazioni che non hanno permesso al sangue di arrivare correttamente al cervello. Jahi, 13 anni è stata dichiarata cerebralmente morta, ma la madre non ci sta. Il dibattito tra scienza e fede sta dividendo gli statunitensi.

Jahi McMath è una bambina afroamericana di soli 13 anni che vive a Oakland, sull'altra sponda della Baia di San Francisco, al di là del Bay Bridge. La piccola è diventata, suo malgrado, protagonista del dibattito tra scienza e fede che sta letteralmente lacerando la coscienza americana."Il suo cuore batte, ma il suo cervello è morto" hanno spiegato i medici del Children Hospital di Oakland ai genitori di Jahi.

Per l’ospedale ciò significa la morte della paziente ma la madre, Nailah Winkfield, è una battista praticante e si è subito opposta a staccare il ventilatore che consente alla bambina di respirare. «Credo in Dio, credo fermamente che se la avesse voluta morta l’avrebbe già presa con sé - afferma la madre -, ma poiché il suo piccolo cuore ancora batte, il sangue circola, lei si muove quando le sono vicino e ciò significa che non è deceduta».

A sostegno della madre di Jahi c’è anche la Fondazione Terri Schiavo, che porta il nome della donna in stato vegetativo morta in Florida nel 2005 al termine di un lungo braccio di ferro legale, che si offre di coprire parte delle spese di trasferimento dalla California a New York.

La battaglia di Nailah per trovare un ospedale alla figlia ha però un limite oggettivo nel rischio che lo spostamento possa ucciderla ma la donna sembra comunque determinata a tentare: «Sono convinta che Jahi ce la farà». Nella comunità medica sono in molti tuttavia a dubitare che l’opzione New York possa concretizzarsi. «Davanti alla pubblicazione di un certificato di morte nessun ospedale può accogliere Jahi affermando che sia viva» osserva David Magnus, direttore del Centro di Biomedicina Etica dell’Università di Stanford, ribadendo che «non esistono nella scienza casi conosciuti di persone cerebralmente morte tornate in vita» a differenza di quanto avvenuto in situazioni di pazienti terminali in stato vegetativo.

Fra i casi più noti c’è quello di Jesse Koochin, il bambino di 6 dello Utah che nel 2004 venne dichiarato cerebralmente morto ma venne portato a casa dai genitori e riuscì a respirare per un altro mese prima di smettere.

La madre tuttavia non si arrende davanti alle evidenze scientifiche, scende in strada a Oakland per incontrare i reporter e afferma, fra le lacrime: «Mi accusano di volermi sostituire a Dio ma non è così, sono solo una donna che crede profondamente nell’esistenza di Dio e si oppone a staccare la spina a una ragazza che ancora respira». «Non credo a quelli che dicono che staccando il ventilatore mia figlia starà meglio - aggiunge la madre - credo a quello che vedo, dobbiamo darle una possibilità di farcela».

Davanti all’insistenza della donna, il portavoce dell’ospedale Sam Singer, ammette che «faremo un passo indietro se verrà qui un dottore per inserire i tubi dell’alimentazione nella bambina e poi si assume la responsabilità del trasferimento».

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