venerdì 30 novembre 2012
ONU: Palestina Stato osservatore
In una giornata che sarà ricordata nei libri di storia, la Palestina diventa Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite dell'Onu. Esattamente 65 anni dopo il voto sulla spartizione della Terra Santa in due Stati (era il 29 novembre del 1947), l'Assemblea generale delle Nazioni Unite si rende protagonista di un'altra giornata da ricordare per la storia politica internazionale, e nasceranno molte polemiche approvando con 138 voti su 193 una risoluzione che il presidente dell'Anp Abu Mazen ha voluto con forza. E che i vertici dell'Autorità nazionale palestinese considerano solo un primo passo verso la nascita di un vero e proprio Stato e verso il riconoscimento della Palestina come Paese membro a pieno titolo delle Nazioni Unite.
Ricordiamo che la votazione è avvenuta dopo che il presidente dell'Anp, Abu Mazen, aveva preso la parola davanti all'Assemblea generale spiegando che "la Palestina crede nella pace e la sua gente ne ha un disperato bisogno. Dateci il certificato di nascita".
"È arrivato il momento di dire basta all'occupazione e ai coloni, perché a Gerusalemme Est l'occupazione ricorda il sistema dell'apartheid ed è contro la legge internazionale. I palestinesi non accetteranno niente di meno dell'indipendenza sui territori occupati nel 1967 con Gerusalemme Est", aveva tuonato il leader palestinese.
La replica di Israele è arrivata subito. Il premier Benjamin Netanyahu ha dichiarato che la votazione "non cambierà alcunché sul terreno, non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà", assicurando tuttavia che "la mano di Israele resta tesa verso la pace". Nei confronti del leader palestinese la risposta è stata caustica: "Parole ostili, velenose non da uomo che vuole la pace".
Gli Usa, che hanno votato contro la risoluzione, non hanno preso bene la decisione dell'Onu. Secondo l'ambasciatore Usa all'Onu, Susan Rice, si tratta di una "risoluzione controproducente" che ostacola il raggiungimento dell'obiettivo di "due Stati per due popoli". Ancor più netta l'opinione del segretario di Stato americano Hillary Clinton, secondo cui il voto "pone nuovi ostacoli sul cammino della pace". Soddisfazione invece da parte della Santa Sede: "Accogliamo con favore la decisione dell'Assemblea Generale".
Mentre l'Europa si è trovata ampiamente divisa, infatti, Francia, Irlanda, Gran Bretagna, Grecia e Spagna hanno dichiarato di appoggiare la risoluzione, la Germania ha fatto invece sapere che si sarebbe astenuta. L'Italia invece ha deciso di dare il sostegno all'Anp. Lo ha annunciato nel pomeriggio una nota di Palazzo Chigi che ha suscitato l'irritazione di Israele, rimasta "delusa dall'Italia", nonostante il premier Monti avesse precisato che la scelta del suo esecutivo fosse "parte integrante dell'impegno del governo italiano volto a rilanciare il processo di pace con l'obiettivo di due Stati, quello israeliano e quello palestinese, che possano vivere fianco a fianco, in pace, sicurezza e mutuo riconoscimento".
“Ora bisogna immediatamente riaprire i negoziati”, hanno chiesto i paesi europei, con in testa l'Italia, che hanno votato sì. Soddisfazione anche dal Vaticano, mentre il segretario generale Ban Ki Moon ha chiesto che siano i palestinesi a fare il prossimo passo riconoscendo il diritto ad esistere in pace e sicurezza di Israele.
Fiamma Nirenstein dalle colonne del Il Giornale ha attaccato la posizione di Palazzo Chigi sostenendo che: “un Parlamento che da vari anni ha fatto suo onore e vanto di essere il migliore amico europeo di Israele, la cui delegazione all’Onu solo nel luglio del 2011 di fronte a una risoluzione identica ha risposto in modo opposto a quello attuale, e poi ha affermato che: il comunicato di Palazzo Chigi sembra scritto da un bambino che ignora l’abc della politica mediorientale, e soprattutto che scavalca senza remore, le scelte politiche di fondo del Parlamento italiano, che non è mai stato minimamente consultato”.
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venerdì 16 novembre 2012
Piombo fuso 2: razzi contro Gerusalemme
La diplomazia si sta muovendo il segretario generale Onu Ban sarà in Israele e nei Territori a giorni, nel tentativo di fermare il conflitto. Il Marocco ha presentato al Consiglio di sicurezza una bozza di risoluzione per un cessate il fuoco in Medioriente. Catherine Ashton, capo della politica estera Ue, spera che l'Egitto aiuti a giungere alla pace
Mentre Israele è pronto a mobilitare fino a 75.000 riservisti, nessuna tregua nella Striscia di Gaza, con Hamas che alza il tiro e dopo Tel Aviv mette nel mirino dei suoi razzi “Fajr” 5 anche Gerusalemme. Almeno due razzi sono caduti vicino alla Città Santa, tra cui uno in un campo disabitato vicino all’insediamento ebraico di Gush Etzion, in Cisgiordania.
Riportiamo due interviste di estrema rilevanza pubblicate sui maggiori quotidiani: dal CORRIERE della SERA , l'intervista di Francesco Battistini a Nahum Barnea.
TEL AVIV — «La situazione nel Sud era impossibile da sostenere. Israele è una democrazia, non può accettare che ogni settimana un settimo dei suoi cittadini si rintani perché piovono razzi». L'altro ieri, quand'è partita l'operazione «Colonna di fumo», Nahum Barnea stava in un kibbutz proprio al confine con Gaza. Ha visto abbastanza, sentito molto, capito tutto: mai tenero col premier, stavolta il principe degli editorialisti israeliani è con Netanyahu: «Doveva pur far qualcosa...».
Quanto peseranno queste bombe sul voto di gennaio? «I politici non amano operazioni di questo tipo, sotto elezioni, perché si sa che è facile perderne il controllo. Il primo giorno, sembrava una gran vittoria. Il secondo, i tre morti e le sirene a Tel Aviv hanno già cambiato le carte in tavola. Netanyahu non è sicuramente di buon umore: uno come lui, che in tutti i sondaggi è accreditato della vittoria, non inizia una guerra se non è veramente obbligato».
Obama detesta Netanyahu: come si spiega il suo appoggio incondizionato? «Gli Usa appoggiano Israele, più che altro: riconoscono che i cittadini hanno diritto a una vita normale. La differenza tra l'Obama di oggi e il Bush che appoggiò la guerra di Olmert, nel 2008, è che probabilmente Obama non concederà a Netanyahu lo stesso tempo che Bush concesse a Olmert».
E' la fine d'ogni possibile dialogo con l'Egitto dei Fratelli musulmani? «Difficile dirlo. Morsi ha bisogno degli Stati Uniti e non diventerà il portavoce di Hamas: fa molta retorica, ma non penso che s'andrà oltre il rimpatrio dell'ambasciatore. Morsi è ancora instabile, non si sbilancerà più di tanto».
Le piazze arabe non sembrano andar oltre la solidarietà di facciata: llamas paga l'aver appoggiato Assad? «La politica araba sta cambiando velocemente e i nuovi governi spesso anticipano le piazze. Il Qatar, che è nemico della Siria, ha appena donato a Hamas 400 milioni di dollari... L'ago della bilancia, però, resta l'Egitto».
A Gaza, quanto durerà il sostegno a llamas? «Gaza ora è sotto choc, la botta è forte, il morale basso. Un'azione di questo tipo cementa il consenso palestinese. M'aspetto che torneranno alla strategia di qualche anno fa, a colpirci coi kamikaze». Quanto influirà quest'operazione sul voto di fine mese all'Onu, per il riconoscimento della Palestina come Stato membro? «Influirà di sicuro. Israele ora vuole molte cose: che il mondo convinca i palestinesi a non dichiarare l'indipendenza, che appoggi quest'operazione, che sostenga l'attacco all'Iran... Non può ottenere tutto, su qualcosa dovrà cedere».
Da REPUBBLICA, l'intervista di Fabio Scuto a David Grossman.
Per David Grossman, se vuole avere sensazioni di prima mano, c'è un alloggio momentaneamente libero al quarto piano di una palazzina a Kyriat Malachi. Certo, dovrà essere ristrutturato perché è stato centrato da un razzo che ha sterminato un'intera famiglia.
Siamo certi che da quell'osservazione ne guadagnerò sensibilmente la sua prospettiva.
GERUSALEMME —«È molto difficile dire ora in che direzione si svilupperà questa ondata di violenza. Può essere che tutto finisca in qualche giorno, come in passato sono terminate altre centinaia di esplosioni di violenza ciclica fra Israele e Hamas, ma potrebbe anche trasformarsi in un'ondata furiosa e prolungata, estendendosi da Gaza alla Cisgiordania. Se ci fosse stato un vero dialogo coni Palestinesi della Cisgiordania ora tutto sarebbe diverso». Non sembra ottimista David Grossman, lo scrittore israeliano — in Italia in questi giorni per presentare il suo ultimo libro Caduto fuori dal tempo—che incarna meglio la coscienza critica di quel che sta accadendo in Israele in questi anni.
Come vede la situazione che si è creata in questi ultimi giorni nel sud di Israele? «La situazione dei rapporti fra Israele e Hamas è quella di una sfera ermeticamente chiusa, in cui domina la logica distorta della guerra e dell'odio. Nell'ambito di tale logica, Hamas fa tutto ciò che può per far cessare l'occupazione israeliana che dura già da 45 anni, mentre Israele fa tutto ciò che può per difenderei propri cittadini dai ripetuti attacchi di Hamas. Entrambi hanno le loro proprie giustificazioni per ciò che stanno facendo, entrambi sentono di avere ragione, ma, per l'osservatore esterno, tutto ciò appare una follia. La domanda che ci si deve porre è perché siamo tutti prigionieri all'interno di tale sfera già da 45 anni. Ritengo che la risposta sia che le due parti non sono in grado, in questo momento, di liberarsi dal rituale automatico di attacchi e di ritorsioni, e da soli non ci potranno riuscire. Si condannano ad un round dopo l'altro di violenza e di uccisioni, e ci saranno sempre più palestinesi ed israeliani che si lasceranno trascinare in tale circolo di brutalità e di vendetta».
Che può portare a sviluppi imprevedibili... «E molto difficile dire ora in che direzione si svilupperà la cosa. La situazione fra Israele ed i palestinesi è così esplosiva, che quasi ogni scenario è possibile. E di nuovo si ripresenta la domanda perché Israele ed i palestinesi non abbiano sfruttato questi ultimi mesi per tentare di iniziare un dialogo. Se ci fosse stato un dialogo, anche solo fra Israele ed i palestinesi della Cisgiordania, tutto oggi sarebbe diverso. Su questo punto preciso, mi aspetto che Israele, che ha molte più possibilità di manovra, che è il più forte dei due, faccia tutto ciò che è in suo potere per far ripartire il processo di pace. Se oggi ci fosse un processo di pace, il mondo sarebbe disposto ad accettare con maggiore comprensione la reazione israeliana».
Ma ora, in questa situazione, lei vede una via d'uscita? «Penso che Israele debba proporre un cessate-il-fuoco unilaterale di 48 ore, non rispondere ad alcuna provocazione di Hamas, anche se Hamas continuasse a lanciare altre centinaia di missili. Penso che Israele debba contenersi al massimo durante queste 48 ore, per dare la possibilità a coloro che hanno un'influenza su Hamas, come il nuovo regime egiziano, di fare opera di mediazione e arrivare alla calma».
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