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sabato 22 novembre 2014

New York Times: Obama cambia i piani della missione in Afghanistan



A maggio, è giusto ricordarlo, Obama aveva detto che le truppe rimaste in Afghanistan, attualmente 9.800 unità, si sarebbero limitate ad addestrare i soldati afgani e a “dare la caccia ai resti di Al Qaeda”.

Il New York Times ha pubblicato un'inchiesta che porta le firme di Mark Mazzetti ed Eric Schmitt, con la collaborazione di Matthew Rosenberg, con la quale rivela che nelle scorse settimane il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha firmato un ordine segreto con il quale autorizza i soldati americani a un'azione in Afghanistan nel 2015 , che autorizza le truppe statunitensi a combattere di nuovo contro i talebani in Afghanistan almeno per un altro anno. Il nuovo piano prevede anche che i caccia e i droni statunitensi faranno da supporto alle missioni dell’esercito afgano.

Il presidente Obama ha firmato un ordine segreto nelle ultime settimane che ampliare il ruolo delle forze armate statunitensi in Afghanistan.

Nel 2015 rispetto a quanto originariamente previsto la presenza sarà più massiccia, una mossa che dovrebbe garantire alle truppe americane un ruolo diretto nella lotta al terrorismo nel paese devastato dalla guerra, almeno per un altro anno. Così scrive il New York Times.

La decisione di Obama, spiega il quotidiano statunitense, consentirà alle forze americane di effettuare missioni contro la talebani e altri gruppi militanti che minacciano le truppe statunitensi e il governo afghano. La nuova autorizzazione consente anche jet americani, bombardieri e droni per sostenere le truppe afghane in missioni di combattimento.

La mossa arriva dopo la promessa di Obama di lasciare le truppe nel paese con due missioni: per addestrare le forze afgane e di sostenere operazioni antiterrorismo contro al-Qaeda. A maggio, inoltre, aveva detto che era "il momento di voltare pagina" sulle politiche concentrate sul Medio Oriente negli ultimi dieci anni.

Ma questo ultima scelta del presidente Usa rivela un cambiamento di politica estera per l'amministrazione Obama. L'autorizzazione è stata fatta su richiesta di comandanti militari, che vogliono più truppe sul terreno per combattere i talebani, così ha riferito l'Associated Press. Ma entro la fine del prossimo anno, la metà delle 9.800 truppe americane avrà lasciato l'Afghanistan. Il resto sarà consolidato a Kabul e Bagram e poi lascerà alla fine del 2016, consentendo a Obama di dire che ha posto fine alla guerra in Afghanistan prima del suo mandato.

Secondo i giornalisti del NYT, la decisione di cambiare la missione è il risultato di un lungo e acceso dibattito che ha messo a nudo la tensione all'interno dell'amministrazione Obama tra due imperativi spesso in comparizione tra loro: da una parte la promessa di Obama di porre fine alla guerra in Afghanistan, dall'altra le richieste del Pentagono che vuole che le truppe americane possano portare a termine con successo le loro ultime missioni nel Paese che da anni è devastato dalla guerra. A tutto questo si è aggiunto il collasso delle forze di sicurezza irachene davanti all'avanzata dello Stato Islamico. Inoltre, sulla decisione ha inciso anche il trasferimento di potere in Afghanistan al presidente Ashraf Ghani, che è più tollerante del suo predecessore Hamid Karzai per quanto riguarda la presenza americana nel suo Paese. Anzi, secondo un funzionario afgano, pare che sia stato proprio Ghani, insieme con il suo nuovo consigliere per la sicurezza nazionale Hanif Atmar, a chiedere agli Stati Uniti di continuare a combattere contro i talebani anche l'anno prossimo e ha stretto una collaborazione con il generale John F. Campbell. Tra l'altro, anche quando al comando c'era ancora Karzai, i generali afghani hanno spesso chiesto ai soldati Usa di ignorare le direttive del presidente e di aiutarli con i loro aerei quando si trovavano in difficoltà. D'ora in poi, dunque, richieste di questo genere da parte degli afgani non dovranno più essere fatte in segreto.

Il piano degli Usa è comunque quello che entro la fine del 2015 la metà delle 9.800 truppe che sono ancora presenti in Afghanistan lasci il Paese. L'obiettivo di Obama è quello di poter dire, entro la fine del suo mandato, di aver posto fine alla guerra in Afghanistan.



sabato 12 ottobre 2013

Malala ora è un simbolo una ragazza eroica



Malala è «una ragazza eroica» e il premio Sakharov è stato «deciso all'unanimità». Lo ha detto il presidente dell'europarlamento Martin Schulz annunciando la scelta di premiare la giovane pachistana ai giornalisti prima di comunicarla ufficialmente in plenaria. Il premio sarà consegnato durante la sessione plenaria del Parlamento europeo novembre.

E' passato un anno da quando, il 9 ottobre 2012, Malala Yousufzai è stata ferita dagli spari esplosi contro di lei dai talebani nella valle dello Swat, in Pakistan. Il mondo la guarda come un'eroina, una coraggiosa paladina dei diritti all'istruzione e delle bambine, mentre è uscita la sua autobiografia 'Io sono Malala'.

Ma in Pakistan, i militanti minacciano di ucciderla se tornerà nel Paese e la paura dei militanti ha il sopravvento e domina la vita. Malala, ora 16enne, vive a Birmingham nel Regno Unito, dove era stata trasferita per essere curata dalle ferite riportate nell'attacco. I suoi assalitori, invece, restano liberi.

Poco dopo l'agguato del 9 ottobre dell'anno scorso, gli scolari pakistani riempirono le strade di cartelli con la scritta 'Sono Malala'. Oggi le cose sono cambiate. Nell'anniversario odierno, la scuola che la giovane frequentava nella valle dello Swat non ricorderà l'assalto: studenti e insegnanti hanno paura. L'insegna dell'istituto è stata rimossa, mentre le bambine con le teste coperte dal velo continuano a frequentarlo.

Anche il grande poster che era stata affisso sul muro della hall è stato tolto. I bambini si nascondono alle telecamere. Il 9 ottobre del 2012, Malala uscì dallo stesso cancello, ridendo con le amiche mentre saliva sul retro del pick-up usato per trasportare le scolare. Lungo il tragitto, all'altezza di uno stretto ponte, un uomo mascherato e armato fermò il veicolo. Un altro salì sul retro, armato di una pistola. "Chi è Malala?", urlò. Nessuno rispose, ma tutti voltarono la testa verso di lei.

Lui sparò contro la ragazzina più volte. Un proiettile la colpì nella parte alta della testa, mentre altri due colpi ferirono non seriamente due amiche. Malala fu trasferita in un ospedale militare vicino a Islamabad, dove fu operata d'urgenza. Il padre Ziauddin, certo che la figlia non sarebbe sopravvissuta, mandò un messaggio al cognato chiedendogli di preparare una bara e un'auto con cui portare a casa il corpo. Malala, invece, si svegliò una settimana dopo in un letto d'ospedale a Birmingham, nel Regno Unito, dove era stata trasferita per essere curata.

Ma il sostengo e i riconoscimenti che ha ricevuto in Occidente hanno risvegliato sentimenti antioccidentali in Pakistan, dove migliaia di civili e almeno 4mila soldati sono morti per l'insorgenza islamica. Frustrati dalla rivendicazione secondo cui la parte 'ricca' del mondo dovrebbe fare di più, molti pakistani vedono infatti l'acclamazione di Malala come un dramma recitato per far crescere ancora di più le critiche al Paese. Nello scorso dicembre, un gruppo di studenti ha protestato contro la decisione del governo di rinominare una scuola della valle dello Swat con il nome College femminile Malala Yousufzai. L'istituto ha mantenuto la denominazione originale.

La battaglia di Malala per l'educazione delle bambine è iniziata quando aveva appena 11 anni, in un momento in cui i talebani agivano e si muovevano apertamente nella valle, facendo esplodere scuole e colpendo i soldati. "Erano tempi molto duri e Malala parlò in tv e sui giornali, fu minacciata, così come il padre", racconta Ahmed Shah, amico di famiglia ed educatore, a sua volta minacciato di morte per le sue attività a favore dell'istruzione delle bambine. Il governo pakistano, ha spiegato, è stato il primo a riconoscere il coraggio della ragazza, dandole il premio Nazionale per la pace nel 2011, un anno prima che le sparassero.

Anche Malala paga il prezzo della sua notorietà, dice. "L'altro giorno parlavo con il padre, che mi ha detto che Malala piange e continua a chiedere 'Quando potrò studiare? Vado in America, in Austria, in Spagna per tanti giorni e non ho tempo neanche per una lezione di geografia'", racconta l'amico di famiglia.

Secondo Shah il fatto che gli aggressori della ragazza siano ancora liberi non aiuta. Non saranno mai presi probabilmente, sottolinea, perché raramente la polizia indaga su un incidente se i talebani lo rivendicano. E se indaga, di solito la paura spinge i giudici a rilasciare gli imputati, spiega l'avvocato locale Aftab Alam. Ufficiali dell'esercito hanno identificato l'assalitore di Malala come Attaullah, fuggito in Afghanistan, mentre la polizia dice che il caso chiuso.

La sorella del sospettato, Rehana, nella sua casa di montagna nella valle dello Swat ha detto ad Associated Press: "Non sappiamo dove sia, se sia vivo o morto". Intanto, ancora la scorsa settimana i talebani hanno minacciato di uccidere Malala, se tornerà in Pakistan come lei ha detto di sognare. "Se la troveremo, allora tenteremo di ucciderla una volta per tutte. Ci sentiremo orgogliosi della sua morte", ha detto il portavoce dei talebani Shahidullah Shahid.

"Uccidetemi pure, ma prima di uccidermi ascoltatemi": lo ha detto, rivolta ai talebani pachistani che già tentarono di ucciderla sparandole alla testa, Malala Yousafzai, in un dibattito a Washington col presidente della Banca Mondiale, Yim Yong Kim.

«La Conferenza dei presidenti, l'organo del Parlamento europeo,ha deciso all'unanimità di onorare Malala Yousafzai, questa ragazza della Valle dello Swat in Pakistan, per il suo coraggio di andare a scuola, di incoraggiare le altre ragazze ad andare con lei a scuola in un ambiente ostile, mentre era minacciata di morte dai talebani - ha detto Martin Schulz - Dopo le minacce è stata attaccata. Fortunatamente è sopravvissuta ai colpi che quei criminali le hanno sparato. Così il Parlamento europeo ha deciso di onorare una ragazza che ha incoraggiato le altre con il suo esempio: andiamo a scuola, non facciamoci intimidire, pretendiamo i nostri diritti di ragazze, donne, ad essere rispettate».