domenica 5 maggio 2013

Giornata Mondiale libertà di stampa. Quando il giornalismo subisce troppe intimidazioni

La giornata Giornata Mondiale libertà di stampa è stata ricordata con "Un fiocco giallo su tutti i giornali. Iniziativa straordinaria per il rispetto del lavoro dei giornalisti, per Domenico Quirico e tutti i giornalisti impediti di comunicare o fermati nei luoghi di guerra.

La ventesima giornata mondiale dell'Unesco per la libertà di stampa è stata dedicata alla sicurezza e alla libertà di espressione, messe particolarmente a rischio nei luoghi di guerra, nelle terre dominate dai regimi e dalla malavita che infesta soprattutto le aree di frontiera.

E’ bene ricordare che la ricerca della verità, un dovere e un diritto. Nella giornata mondiale per la libertà di stampa proclamata dalle Nazioni Unite si ricorda e si riflette. “La nostra missione è raccontare gli orrori della guerra “scriveva Marie Colvin da vent’anni inviata del “Sunday Times”, uccisa il 22 febbraio in Siria. Stessa sorte per la giapponese Mika Yamamoto e Gilles Jacquier di France 2. Solo in Iran sono 16 i giornalisti in prigione. La libertà di espressione non è ancora garantita, l’appello a un maggiore impegno è arrivato da Ban Ki-moon. “Dobbiamo fare molto di più” – ha detto il segretario generale dell’Onu. “Servono maggiori tutele attraverso il rispetto della legge. Esorto tutti a fare il possibile per tradurre le parole in azioni concrete per creare un ambiente più sicuro per i media.”

19 i cronisti uccisi nel 2013, 174 quelli arrestati nella denuncia di “Reporter Senza Frontiere” che ogni anno pubblica numeri preoccupanti.

A fare sperare sono le battaglie vinte, come quella in Myanmar dove sono tornati i giornali indipendenti, dopo 50 anni di censura militare.

Il giornalismo non è mai stato attaccato come in questi tempi, in cui viene accusato di essere parte della casta e indicato come complice del decadimento della politica e delle amministrazioni pubbliche.

Ricordiamo in questa giornata Yoani Sánchez, la dissidente e giornalista cubana, che intende il mestiere del giornalista in questo modo: «Noi non possiamo stare lontani dalla realtà, osservare dall’alto la vita delle formiche, usando la lente di ingrandimento per avere l’illusione di essere vicini. Noi dobbiamo invece assumere il punto di vista delle formiche, stare con i piedi ben ancorati a terra: essere cronisti del reale».

Come diceva più di un secolo fa Lord Northcliffe, giornalista e poi editore inglese: «La notizia è quella cosa che qualcuno, da qualche parte, non vuole sia pubblicata. Tutto il resto è pubblicità».

Il fatto di avere una data per celebrare e rivendicare la libertà di stampa va benissimo così ha sostenuto Yoani Sánchez a Perugia, però bisogna sempre ricordare che ogni giorno dell’anno dobbiamo lottare per ottenere questo obiettivo. La situazione è molto complicata: non solo in Paesi come Cuba dove la libertà di espressione è seriamente compromessa, ma anche per i cittadini di altri Paesi che devono difendere le piccole porzioni di libertà informativa che hanno raggiunto. Credo che avvicinarsi a quelle nazioni dove la situazione è più difficile sia un modo per prendere coscienza e per tenere in debito conto i passi avanti fatti dalla libertà di espressione da parte dei Paesi dove ciò è avvenuto.

A Cuba è illegale avere un’antenna parabolica per la tv via satellite, ma a quelle che ci sono si collegano tante famiglie: la condivisione di qualsiasi cosa possa servire per la nostra sopravvivenza non solo fisica, ma anche intellettuale, per noi è la prassi. A Cuba non si può avere una connessione Internet a casa, salvo stranieri. Usiamo i social network come un Sos: sono un martello per abbattere il muro informativo, più difficile di quello di Berlino. Sono stati un’enorme protezione per me. A me piace soprattutto Twitter per come agevola la comunicazione essenziale e diretta.
Perché i cubani non si svegliano? Me lo chiedono in tanti. Perché c’è tanta paura: non solo paura dello stigma, ma di diventare una non persona. Io quando ho paura non è per me, ma per i miei cari. Se però mi lasciano parlare, non ho più paura.

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