venerdì 27 marzo 2020

Coronavirus, Mario Draghi al Financial Times: il debito pubblico è l’unica leva che i governi hanno per gestire



Draghi, ex presidente della Banca centrale europea non usa mezzi termini: «Ci troviamo di fronte a una guerra contro il coronavirus e dobbiamo muoverci di conseguenza»: la sfida è «come agire con sufficiente forza e velocità per prevenire che una recessione si trasformi in una prolungata depressione, resa ancora peggiore da una pletora di default che lasciano danni irreversibili».

«È già chiaro che la risposta» alla guerra contro il coronavirus «deve coinvolgere un significativo aumento del debito pubblico» afferma Draghi. «La perdita di reddito del settore privato - scrive l’ex presidente della Bce sul Financial Times – dovrà essere eventualmente assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci dei governi. Livelli di debito pubblico più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e sarà accompagnata da una cancellazione del debito privato».

Per Draghi «di fronte a circostanze non previste un cambio di mentalità è necessario in questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che ci troviamo ad affrontare non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di chi la soffre. Il costo dell'esitazione potrebbe essere irreversibile. La memoria delle sofferenze degli europei negli anni 20 del ’900 sono un ammonimento».

«La velocità del deterioramento dei bilanci privati, causata da uno shutdown che è inevitabile e opportuno» deve incontrare «un'uguale velocità nel dispiegare i bilanci dei governi, mobilitare le banche e, come europei, sostenerci uno con l'altro in quella che è evidentemente una causa comune», aggiunge Draghi definendo «coraggiose e necessarie» le misure prese dai governi per prevenire che il sistema sanitario sia sopraffatto.

Si tratta di azioni che «vanno sostenute» anche se comportano un «alto e inevitabile costo economico. Giorno dopo giorno le notizie economiche peggiorano». Nel suo intervento Draghi sottolinea: «È l'appropriato ruolo dello stato quello di dispiegare il suo bilancio per proteggere i cittadini e l'economia contro shock di cui il settore privato non è responsabile e non può assorbire», aggiunge Draghi mettendo in evidenza che le «guerre sono state finanziate da aumenti del debito pubblico. Draghi ricorda anche che tutte "guerre sono state finanziate da aumenti del debito pubblico. Durante la prima guerra mondiale in Italia e in Germania fra il 6 e il 15 per cento delle spese di guerra in termini reali sono state finanziate con le tasse". E conclude affrontando il ruolo della Ue in questa guerra. "L'Europa è ben equipaggiata" per affrontare questo "shock straordinario. Ha una struttura finanziaria capace di far confluire fondi in ogni parte dell'economia. Ha un forte settore pubblico in grado di coordinare una risposta rapida". Per l'ex presidente della Bce, proprio "la velocità è essenziale per l'efficacia della risposta".

È ancora il concetto di rapidità quello che evoca l’ex presidente della Bce. Sotto diversi punti di vista «l'Europa è ben equipaggiata» per affrontare questo «shock straordinario. Ha una struttura finanziaria capace di far confluire fondi in ogni parte dell'economia. Ha un forte settore pubblico in grado di coordinare una risposta rapida. La velocità è essenziale per l'efficacia» della risposta al coronavirus.

Agire subito per evitare depressione. Le parole che l’ex presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha usato dalle colonne del «Financial Times» non lasciano molti margini di interpretazione: il debito pubblico è l’unica leva che i governi hanno per gestire le fasi di guerra.

È il segno di un’emergenza che ha bisogno di pensiero nuovo per essere affrontata, perché il congelamento di una parte consistente delle attività economiche, in un sistema fortemente intrecciato, come quello europeo, non può essere gestito se non in modo condiviso. Nelle guerre conta la linea di comando, la linea che porta gli ordini e le decisioni fino all’ultimo reparto. In questo caso è decisivo il modo nel quale le garanzie pubbliche ai finanziamenti, gli aiuti e i sostegni al reddito, l’utilizzo delle risorse pubbliche, in grado di garantire che la liquidità non si fermi, funzionino. Uno sforzo enorme per le burocrazie, quella nazionale e quella europea, che dovranno fare in pochi giorni quello che di solito sono abituati a realizzare nell’arco di qualche mese. Visione e velocità, come Draghi riuscì a fare otto anni fa.



martedì 24 marzo 2020

Emergenza in Russia: tra disinformazione e crisi



Un dossier di 9 pagine, rivelato dal Financial Times, avverte: è in corso un’operazione di disinformazione su Internet. Dispiegati gli stessi account usati durante la Brexit.

Nove pagine. Per provare a districarsi tra migliaia di messaggi e notizie sparsi su Internet che vogliono diffondere «confusione, panico, paura» legati al Covid-19. L’Unione Europea è convinta che la Russia stia mettendo in campo le stesse armi digitali già dispiegate durante le campagne di disinformazione attorno a referendum sulla Brexit britannica, alle rivolte dei gilet gialli in Francia o per la sistematica diffamazione dei Caschi Bianchi in Siria, il gruppo di pronto soccorso creato nelle aree controllate dai ribelli (Mosca è intervenuta militarmente in sostegno del regime di Bashar Assad).

Il dossier – redatto dal Servizio europeo per l’azione esterna, è stato rivelato dal quotidiano Financial Times – illustra i tentativi di sfruttare le reazioni dei cittadini europei alla pandemia: «L’obiettivo globale del Cremlino è quello di aggravare la crisi nei Paesi occidentali minando la fiducia nel sistema sanitario nazionale e ostacolando così una risposta efficace all’emergenza». Implicati nella disinformatia sarebbero gli stessi account (legati alla struttura statale russa) già usati in altre operazioni: dal 22 gennaio pubblicano messaggi in italiano, inglese, spagnolo, tedesco, francese.

Petrolio in calo, coronavirus, fuga dal rublo: Vladimir Putin sembra avere più conflitti al suo interno. Dal 2014 a oggi, sotto il peso delle sanzioni internazionali e ricordando la crisi finanziaria del 2008, le autorità russe hanno accumulato risorse per i giorni difficili, costruendo una fortezza che rendesse il Paese impermeabile ai fattori esterni. Le riserve della Banca centrale hanno così superato i 570 miliardi di dollari, quarto posto nel mondo; mentre il Fondo di riserva nazionale - alimentato dai guadagni del petrolio - si appoggia su liquidità di 170 miliardi. Davanti a queste cifre, e a un debito estero tra i più bassi al mondo, gli investitori stranieri erano tornati.

Putin contava di attingere a tutto questo per rimediare almeno in parte agli squilibri sociali, per rilanciare la crescita con grandi progetti infrastrutturali e rinvigorire la propria popolarità. Improvvisamente, però, le ragioni per mettere mano al tesoro di casa si sono moltiplicate, tutte nello stesso tempo. C’è bisogno di soldi per sostenere il rublo e tenere a bada l’inflazione, per affrontare l’emergenza sanitaria e attutire l’impatto sui conti pubblici di un petrolio sotto i 30 dollari al barile; senza contare la fuga dei capitali, di nuovo spaventati, e gli interventi a sostegno di famiglie e imprese nella crisi che rischia di scatenarsi. Per un presidente che sta per mettere ai voti l’idea di restare al Cremlino a tempo indeterminato, la tempesta non poteva arrivare in un momento peggiore.

Putin, il suo governo e la Banca centrale russa ostentano sicurezza, nel nome di una stabilità finanziaria che non considerano in pericolo: né possono permettere che sia messa a rischio quella politica, incarnata dal presidente. Le risorse raccolte in questi anni consentono di far fronte a un prezzo del petrolio a 25/30 dollari il barile per 6/10 anni, dice il ministro delle Finanze, Anton Siluanov. Prezzi così bassi non fanno certo piacere, ammette il portavoce del presidente, Dmitrij Peskov, ma non sono catastrofici: la Russia è in grado di reggere l’impatto. È tutto sotto controllo, ripete Putin. Al punto, scrive l’agenzia Bloomberg, che il presidente russo non ha alcuna intenzione di cedere per primo nella sfida ingaggiata con i sauditi, a chi resiste di più con il petrolio così basso.

«La situazione è cambiata drammaticamente, nell’economia globale, sui mercati delle commodities e su quelli finanziari», ha riconosciuto Elvira Nabiullina, presidente della Banca centrale e ha spiegato la decisione di lasciare invariati al 6% i tassi di interesse. L’incertezza è evidenziata dalla scelta «rara» tra le opzioni considerate dal consiglio di Bank Rossii: abbassare i tassi, alzarli o lasciarli invariati. Diversamente dalle banche centrali di mezzo mondo, infatti, alla minaccia di un rallentamento dell’economia, la Russia unisce la necessità di proteggere il rublo, bersagliato dal calo del petrolio: a marzo, la moneta ha già perso il 19%. Nelle ultime settimane, per sostenerlo, la Banca centrale aveva così ripreso le vendite di valuta estera, per incoraggiare invece l’attività economica, Nabiullina ha annunciato un pacchetto di iniziative a sostegno delle piccole e medie imprese, con la possibilità di accedere a prestiti agevolati a un tasso del 4%.